Cittadinanza onoraria a Matteo Maria Zuppi, l'intervento del Cardinale
Si è tenuta questo pomeriggio, nella Sala del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria al Cardinale Matteo Maria Zuppi. Al termine della cerimonia, il Cardinale ha firmato in Sala Rossa il L...
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Si è tenuta questo pomeriggio, nella Sala del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria al Cardinale Matteo Maria Zuppi.
Al termine della cerimonia, il Cardinale ha firmato in Sala Rossa il Libro d'Onore del Comune di Bologna con questa frase: "Grazie per questo 'noi' che mi ha accolto e che è la mia comunità".
Di seguito l'intervento del Cardinale:
"Davvero grazie. Gentili e cari Sindaco, Assessori, Presidente del Consiglio comunale, consiglieri tutti, autorità tutte, voi all’unanimità avete voluto concedermi questo che è un onore ed è un legame che ci unisce ancora di più in quella comunità civica che è la nostra città di Bologna. Grazie è la sola parola che mi sorge dal cuore e che vi porgo davvero con tanta riconoscenza.
Grazie per la decisione, che sento destinata alla mia persona, ma siccome sono convinto che tutto è grazia, cioè un dono, senza calcoli, senza meriti per solo amore, e anche consapevole dei miei limiti, lo sento come un riconoscimento a quel “noi” che è la Chiesa, alla quale appartengo, in cui ho legato la mia vita e che mi ha portato qui a Bologna, che ho conosciuto e amato qui a Bologna, e che sento tanto riconoscimento anche per lei, per le persone anche che non ci sono più, i tanti preti che ci hanno lasciato in questi anni. Oggi sicuramente sarebbe qui con noi uno dei più bolognesi, monsignor Vecchi. I tanti cristiani, i 'santi della porta accanto' direbbe Papa Francesco. La grazia significa l’amore di Dio, che si manifesta nella nostra vita concreta, umana, contraddittoria e misera così com’è. E non faccio certo eccezione. Eppure sento che questa grazia si rivela l’amore spirituale di Dio, che illumina e anima l’umano e l’umano dà forma a questa dimensione personale e invisibile, eppure come noto essenziale. L’unica capace di rendere tutte le cose preziose e belle perché amate. Il 'noi' della Chiesa è molto articolato, molto più largo di quello che noi stessi vogliamo definire e misurare. È una famiglia, dove tutto è in comune, chiamata da quel padre misericordioso che accoglie il figlio, che si era perduto ridonandogli tutto quello che aveva dilapidato; che insegna a quello che era rimasto, rivendicativo, che tutto è in comune, perché nella sua casa la regola è che quel che mio è tuo. E la Chiesa di Bologna ha alla sua origine un padrone e uno schiavo, e morirono insieme per amore di colui che aveva insegnato loro a riconoscersi fratelli, l’Italia agricola, annullando le classi e vincendo tutti i pregiudizi. È vero, l’amore permette di trovare il proprio io perché ci fa trovare l’altro, senza renderci uguali ma complementari.
Allora anch’io dico noi vi ringraziamo. E questa nostra comunità che vive e soffre con la città degli uomini, con le sue ferite, quelle più recenti come la strage della stazione e di Ustica, quelle tante ferite che si rinnovano, perché le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono sono le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo. E nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. È uno dei testi della Gaudium et spes, uno dei testi più importanti del Concilio Vaticano II, quello a cui appunto il Cardinale Lercaro ha preso parte, e in cui un bolognese, che è ancora l’unico italiano vivente che ne faceva parte, monsignor Bettazzi, novantanovenne, con cui ieri sera abbiamo fatto le undici a discutere con una vitalità e una memoria veramente invidiabile e sorprendente. Lo ringraziamo anche.
Bologna è il mio e nostro 'noi'. San Petronio lo ricorda. Nelle sue raffigurazioni ha sempre la città tra le sue mani. Per certi versi continua a presentarcela perché nessuno si pensi come un’isola e ci ammonisce di servirla e non di usarla Petronio a tiene stretta, ma non la possiede, perché la ama. Protegge tutti senza distinzione e perché sia per tutti luogo, a partire dai più poveri, di accoglienza e di riparo. E questa è sempre stata la forza di Bologna, che ho conosciuto, che veramente ho apprezzato, che è la cultura che diventa lavoro e intelligenza, accoglienza. Insomma, Bologna non è una rotonda, ma è un luogo d’incontro, un vero crocevia, originale, creativo e che proprio per questo si rigenera continuamente. I dati ce li ha ricordati prima il Sindaco, anche molto rapidamente. Ma non è mai la stessa. Eppure conserva questi caratteri profondamente, perché profondamente radicati nell’Umanesimo che qui viviamo. Ha cambiato nei secoli tante mura. Adesso le ha buttate giù Bologna, perché voleva crescere. Quando si ha paura, si alzano barriere, muri. Quando si guarda al futuro, si abbattono. Adesso non ci sono più, eppure colpisce ovviamente che il perimetro è rimasto sempre quello, come se ci fossero. Questa è la sfida. Non avere barriere, pensarsi in maniera larga, essere accoglienti verso tutti, senza paura tanto da liberarsi dalle mura e allo stesso tempo conservando l’identità, non smarrendosi nell’universale che diventerebbe spersonalizzante e omologante. Allora una città, la città aperta. Ma una città. E davvero Bologna conserva questo carattere, il suo umanesimo che include la difesa dei diritti individuali, ma li colloca con coraggio e responsabilità nella costruzione del “noi”, nella solidarietà, nel pensarsi insieme. Senza il 'noi' rischiamo di andare contro lo stesso individuo. E allora i portici – non posso non ricordarli, perché mi hanno sempre colpito molto – sono i corridoi di questa casa, luogo di incontro, spazio di protezione, che favoriscono l’incontro. Ma ci sono tante barriere che occorre ancora abbattere, invisibili eppure che isolano.
E Bologna, che guarda al futuro, penso per esempio al centro di calcolo Leonardo e quante possibilità e anche alla sfida etica dell’intelligenza artificiale, che certamente ci vedrà anche in una riflessione comune; penso all’area metropolitana, perché essere una cosa sola insieme, la pianura, la montagna, offre tante nuove prospettive a quella che può rappresentare una rete tra diversi che arricchisce tutti.
La città, insomma, non è mai un dato anagrafico, una menzione sul certificato di residenza. La città è la nostra casa comune, la prima che ci aiuta a collocarci in quella più grande. La città si costruisce come persone relazionali, come parti di una comunità. Ed è in questo che il cristiano vive quella dimensione identitaria, da cittadino della terra ma anche del cielo (la lettera a Diogneto). Siamo cittadini e, allo stesso tempo, si sarebbe detto qualche anno fa cittadini del mondo, perché cittadini del cielo. E come ricordiamo, Bologna con le sue dodici porte doveva proprio rappresentare quella unione tra la città del mondo e quella del cielo. E sempre penso che fare le cose per l’amore del Signore libera dal farle per noi stessi, ci dà larghezza, ci libera dal farle per convenienza, di singolo o di gruppo, per calcolo personale. Insomma, sempre per l’io senza il noi. Chi ama Dio, ama il prossimo e deve farlo gratuitamente, come avviene tra fratelli e sorelle. E questa è la Chiesa, che è una madre che difende la vita, la ama dall’inizio alla fine. Per questo ricordo, lo ha già fatto prima, e lo ringrazio, il Cardinale Lercaro, che nella stessa occasione disse al di là della Chiesa – cito – come compagni voleva si vedesse questa sera soltanto l’evangelo. Per cui l’onore reso a lui – disse – lo intendeva solo come onore reso al Vangelo, e disse di sentirsi debitore vostro e, anche attraverso di voi e successori, di tutta la città. Quindi per mezzo vostro ora e qui Lercaro volle rendere alla città e al popolo di Bologna tutto quello che aveva e che era. Anch’io faccio mie queste parole, le sento davvero anche mie. L’ultima cosa che vorrei dire è sul Liber Paradisus, è tanto anche identitario all’origine del Comune di Bologna, che la libertà la porta anche nel suo motto. I capitoli non sono esauriti, dobbiamo scriverne tanti. Quanto abbiamo da liberare? Perché ci sono altre schiavitù, altre condizioni di fragilità che diventano delle vere prigioni, delle condanne che vanno da quelle – le ha ricordate prima in senso stretto – per esempio del lavoro nero, ma penso all’abbandono scolastico come una grande sfida, ma anche a chi è prigioniero di catene invisibili ma resistentissime, quelle della povertà e con questa la solitudine, il disagio psichiatrico, il dramma della casa e il dramma anche per tanti studenti che si trovano in difficoltà nel trovarla, gli stranieri, la loro integrazione. E poi la perdita dell’autosufficienza, che diventa tante volte, per gli anziani, perdita del contesto affettivo. Quindi credo sia una grande lezione che dobbiamo imparare per aiutare la città a essere davvero una città amica, che si possa restare il più possibile a casa nella protezione.
Allora non basta la crescita individuale, se non c’è crescita in relazione con gli altri. Chi cresce ha bisogno di basi sicure e oggi le basi non possono essere solo la famiglia ma sempre di più la comunità. Quindi una città che sia davvero da una comunità di persone diverse, che discutono. Prima giustamente il Sindaco diceva che il conflitto è anche il sale, la discussione è anche la bellezza e la bellezza della città non è... diventiamo tutti uguali quando diventiamo invisibili, quando non c’è la rete, quando non c’è la comunicazione. Tutti senza volto. Invece, al contrario, quant’è importante dare ed essere un volto. Perché la città siamo tutti noi e ciascuno contribuisce alla sua vita, al suo clima murale, in bene o in male. Disse Papa Benedetto, nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male, e nessuno deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso. Potremmo dire proprio per migliorare e rendere bella la nostra città. Quindi non spettatori, come se il male riguardasse solamente gli altri e certe cose a noi non potessero mai accadere, ma attori. E nel male, come nel bene il nostro comportamento ha un grande influsso sugli altri. Per questo credo una città con tanta partecipazione, con tanta solidarietà ha un dovere ancora di più in un momento di grandi sfide come quello che stiamo vivendo. E vorrei proprio finire ricordando il diritto alla pace. Sì, perché in un mondo senza le mura sentiamo nostre le sofferenze di coloro che sono colpiti dalla violenza e dalla guerra. Tutte le vittime di quella mostruosità della guerra, causata da aggressori e contro gli interessi del loro stesso popolo. Distruggono e si distruggono. Quindi come non sentire l’Ucraina e i suoi tanti figli, anche ricordare i tanti che lavorano qui e sono, per certi versi, anche nostri concittadini e che sono tanta parte di un legame importante, che comunque vogliamo avere con una ferita terribile, che crediamo debba essere quanto prima sanata. E la richiesta della tregua per Natale comunque con insistenza credo che vada rivolta, proprio perché sia l’occasione perché peraltro è una guerra tra cristiani, e Papa Benedetto XV, Vescovo di Bologna, che era stato Vescovo di Bologna cent’anni fa, definì la guerra “inutile strage” e chiese proprio, in un’occasione simile, di dichiarare una tregua. Con loro vorrei anche ricordare i tanti i cui diritti sono calpestati. Papa Francesco ha chiesto la clemenza per i tanti prigionieri e credo che i nomi di alcuni di loro ci sono molto cari, sono alcuni di cui sentiamo lo scandalo della violenza che subiscono. E anche aggiungiamo a questo che non ci siano condanne a morte. Ecco, ha ricordato prima l’articolo 11 della Costituzione: ripudiare la guerra, intraprendere vie di nonviolenza e percorsi di giustizia che favoriscono la pace. Oggi è l’anniversario, tra l’altro, della morte di don Giuseppe Dossetti. Con lui ricordiamo tutti i costituenti. Tra pochi giorni saranno settantacinque anni e credo che sia un’occasione anche per ricomprendere lo spirito soprattutto di quella decisione così fondamentale per il nostro Paese, che ha ancora tanto da dire in un momento di ricostruzione del futuro come quello che stiamo vivendo. Per questo ricevere la cittadinanza onoraria non lo sento affatto come un traguardo, per me è un compito di continuare a impegnarmi con i miei fratelli, con questo “noi” che in realtà è tanto diffuso e rappresenta tanti per far somigliare sempre più Bologna a quella città che Dio ha progettato per ciascuno di noi. La Vergine di San Luca ci protegga, ci insegni a capire il legame che c’è tra la terra e il cielo. E Dio benedica Bologna".