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Istruttoria pubblica sul disagio abitativo, l'intervento di Fabio D'Alfonso, esperto indicato dal Comitato "Pensare Urbano", promotore dell'Istruttoria

Nel pomeriggio di oggi, nell'aula del Consiglio comunale di Palazzo d'Accursio, si tiene la prima seduta dell'Istruttoria pubblica sul disagio abitativo. Di seguito l'intervento di Fabio D'Alfonso, esperto indicato dal Comitato "Pensare Urbano", prom...

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Nel pomeriggio di oggi, nell'aula del Consiglio comunale di Palazzo d'Accursio, si tiene la prima seduta dell'Istruttoria pubblica sul disagio abitativo. Di seguito l'intervento di Fabio D'Alfonso, esperto indicato dal Comitato "Pensare Urbano", promotore dell'Istruttoria.

"Buon pomeriggio a tutti e tutte,
quella di oggi è una giornata importante per Bologna, credo soprattutto per un motivo: questo motivo è rappresentato da ciò che sta accadendo fuori da qui, con decine di persone disposte ad accamparsi in piazza Maggiore non per un capriccio, non perché non avevano nulla di meglio da fare in un venerdì di fine estate, ma perché rivendicano l’applicazione di un diritto sempre meno garantito.
Questo diritto è il diritto alla casa, e i padri costituenti, nell’articolo 47 della Costituzione, gli riconoscono una centralità fondamentale all’interno dell’infrastruttura sociale, poiché se applicato e garantito dalle istituzioni pubbliche permette ad ogni individuo di sottrarsi al giogo della povertà, dell’instabilità e dello sfruttamento.
Col nostro intervento vorremmo provare a ricostruire la storia di un’ingiustizia che culmina con l’organizzazione, da parte di cittadini e cittadine di questa città, di una tendata alle porte di Palazzo d’Accursio.

Crediamo possa essere utile fissare una data di partenza, per quanto simbolica, che ci aiuti a ripercorrere le trasformazioni sociali ed economiche della città che hanno avuto una forte ricaduta sul mercato immobiliare e le politiche abitative pubbliche. Questa data è il 2008, non solo a causa della più grave crisi economica dei nostri tempi, generata proprio a partire dai meccanismi tossici insiti nel mercato immobiliare, ma anche per via del primo storico accordo promosso dal Comune tra l’Aeroporto Marconi e la compagnia aerea di voli low cost Ryanair. E ancora, nel 2008 tre giovani americani neolaureati fondano un’azienda destinata a modificare strutturalmente l’industria turistica mondiale. Sto parlando, ovviamente, di Airbnb. Il collegamento tra questi eventi risulta visibile solo 10 anni dopo. Nel 2018 Airbnb contava annunci in 34.000 città, 60.000.000 di utilizzatori e profitti miliardari. Inoltre l’Italia si classifica come terzo paese per numero di annunci dopo Francia e Stati Uniti. Nello stesso anno a Bologna si arriva a sfiorare le 50 rotte Ryanair e l’afflusso turistico raggiunge la quota di 3 milioni di presenze. Bologna si scopre città turistica, un vanto per l’attuale amministrazione. Su questo punto vogliamo essere chiari, così da sottrarci ad etichette che potrebbero esserci incollate con troppa superficialità. Crediamo che poter viaggiare, visitare luoghi vicini e distanti dalla propria casa, e immergersi in culture e società profondamente diverse sia una libertà da non ostacolare in alcun modo, ma anzi da tutelare, compatibilmente al rispetto del territorio che si sceglie di visitare. Che Bologna accolga i turisti a braccia aperte. Quello che chiediamo però è che lo faccia gestendo il fenomeno turistico in maniera consapevole e razionale, concedendo la migliore esperienza turistica possibile da un lato, ed evitando un impatto negativo sulla qualità della vita dei cittadini e delle cittadine. Insomma, la guerra ai turisti non ci interessa. Ci interessa solo il bene di una città che giorno dopo giorno vede la rappresentanza politica perdere la capacità di trasformare l’esistente, limitandosi a gestirlo. Infatti, il benessere della città passa dalla possibilità di mantenere sul territorio i profitti generati grazie alle proprie infrastrutture e alla propria attrattività. Con Airbnb succede esattamente il contrario, essendo un'azienda domiciliata nel Delaware, noto paradiso fiscale statunitense, e gestendo le transazioni europee in Irlanda, dove vige una tassa sugli utili societari al 12,5%, molto più bassa rispetto al resto degli stati europei. C’è ancora chi ha il coraggio di parlare di sharing economy di fronte ad un meccanismo di evasione fiscale su più livelli che di fatto sottrae abitazioni al mercato regolare degli affitti ed estrae ricchezza dalle città. Ma il cosiddetto "effetto Airbnb" che impatto ha sulla città di Bologna?

L’assessora Gieri in un’intervista rilasciata il 14 agosto dichiarava che in istruttoria pubblica avrebbe portato dati, per sfatare le leggende metropolitane sugli affitti turistici. È proprio sul reperimento dei dati che muoviamo le prime critiche all’amministrazione. I dati rilasciati da Airbnb sono assolutamente parziali e irrealistici, basati su proiezioni senza nessun fondamento statistico. Riteniamo assurdo che il Comune non possa disporre di dati certi. Avere informazioni precise rispetto al numero di annunci, alla loro tipologia, e al tasso di occupazione annua, significherebbe poter intervenire in maniera puntuale e precisa sul fenomeno, evitando di danneggiare i piccoli host che tentano di sbarcare il lunario grazie ad una piccola rendita, e concedendosi la possibilità di intervenire sulla grande evasione dei multiproprietari. Speravamo che oggi l'assessora ci mostrasse quei dati, sfatando ogni leggenda metropolitana, ma purtroppo il Comune non può che fare delle stime, ipotizzare cosa stia accadendo in città, senza poterlo realmente sapere. Infatti i dati più affidabili e vicini ai valori reali della quantità di annunci sono quelli rilasciati da Inside Airbnb, che nonostante possano essere non del tutto precisi sul calcolo delle stanze condivise, lo sono molto di più sul calcolo delle case intere. Se ci permette, assessora Gieri, vogliamo provare ad illustrarle i dati elaborati dal nostro comitato, grazie alle competenze di esperti e all’esperienza fondamentale di associazioni sociali impegnate da anni sui vari temi che ruotano intorno al diritto alla casa.

Secondo Inside Airbnb, a luglio del 2019, nel comune di Bologna erano attivi 4.317 annunci, di cui il 65% (2.817 unità) sono interi appartamenti, che, come sostiene anche l’indagine delI’Istituto Cattaneo, sono interamente e presumibilmente sottratti al mercato regolare degli affitti a medio e lungo termine.

Il restante 35% (1.500 unità) sono stanze singole o in condivisione in appartamenti presumibilmente abitati da proprietari e/o locatari. Tali dati rappresentano l’attuale situazione del mercato delle locazioni brevi a Bologna, senza però dimenticare che altri appartamenti sono affittati attraverso altre piattaforme, come Booking.com o tramite passaparola. Tenendo conto solamente dei dati su Airbnb, la sua capacità ricettiva è di 2,5 milioni di presenze turistiche nel 2019. Il 78% di questa offerta, ed è un dato da sottolineare nuovamente, è costituita in ogni caso da interi appartamenti, quasi 2 milioni di posti letto all’anno. Di pari passo, l’offerta alberghiera bolognese ammonta a circa 4,4 milioni di posti letto annui e in aggiunta è da considerare la presenza di strutture extralberghiere che offrono altri 2 milioni di posti letto annui, secondo l’ufficio statistico della Città Metropolitana di Bologna. Alla luce di questi dati, risulta evidente come l’offerta alberghiera ed extralberghiera sia più che sufficiente e potenzialmente in grado di di assorbire i flussi turistici presenti, considerando che il tasso di occupazione delle strutture alberghiere nel 2018 è stato pari al 57,7% e che le presenze turistiche totali nel 2018 sono state di circa 3,2 milioni. Non c’è quindi nessun motivo per sostenere che gli alberghi siano pieni, o che la presenza di Airbnb risulti in qualche modo centrale rispetto al soddisfacimento della crescente domanda turistica.

Nonostante queste evidenze, la crescita delle locazioni turistiche su Airbnb è innegabile e continua ad erodere l’offerta abitativa cittadina: dai 2.976 annunci dell’aprile 2017 si è arrivati ai 4.317 di luglio del 2019.
Ricordo ancora come nel 2017 l’amministrazione parlava di “qualche centinaio di annunci su Airbnb, non di più”, dimostrando una scarsa attenzione rispetto ai fenomeni che prendono piede in città, e privandosi della possibilità di intervenire preventivamente sulla questione.
In aggiunta, al quasi raddoppiamento del numero di annunci in soli due anni, è variata anche la modalità di utilizzo della piattaforma.

Sempre secondo Inside Airbnb, nel 2017 la condivisione dell’appartamento riguardava quasi la metà degli annunci (42,6%), mentre oggi è evidente lo spostamento dall’economia di condivisione all’imprenditorialità: gli appartamenti condivisi sono scesi al 34,7% e quelli interi sono saliti sia in unità che in percentuale sul totale degli annunci. La scalata del numero di appartamenti interi comporta ovviamente dei costi per la città che non vengono pesati a sufficienza dall’amministrazione pubblica, forte della crescita del turismo e delle entrate economiche derivanti dalla tassa di soggiorno. L’aumento della presenza di locazioni di breve periodo, infatti, si unisce alla già carente offerta abitativa per le popolazioni a reddito medio-basso, alla scarsa presenza ed efficacia dell’edilizia pubblica residenziale e all’inadeguato numero di posti letto disponibili per studenti nelle residenze Er.Go in uno degli atenei più grandi d’Italia. Assessora Gieri lei parlava di “emergenza vera” facendo intendere che esista un “emergenza falsa”, forse quella studentesca? Posto che trovo grave un’affermazione del genere, è un’indagine commissionata dallo stesso Comune a stabilire che oltre 6000 famiglie non riescono a permettersi un affitto. Come giudica questa situazione drammatica? Vera o falsa. Il problema abitativo esploso negli anni più difficili del mercato immobiliare, attorno al 2013, con il numero di sfratti alle stelle non può essere finito sotto il tappeto nell’arco di così pochi anni. Quindi sì, è vero, negli ultimi anni il numero di sfratti a Bologna è diminuito, ma andrebbe capito se il motivo risiede in un efficacia delle politiche abitative o nel fatto che le fasce sociali più deboli vengono di fatto espulse dalla città. A nostro avviso si è spostato semplicemente il problema verso le periferie o i comuni di prima cintura, senza valutarne gli effetti di medio e lungo periodo.

È necessario citare anche il calo, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, dei contratti a canone concordato stipulati a Bologna nel 2018, che risultano essere 748 in meno rispetto all’anno precedente, in aggiunta ai 226 contratti agevolati per studenti in meno registrati sempre nello stesso arco temporale. Quindi sì, avete ragione, i prezzi sono immutati.

Peccate però che parte di questi appartamenti, oggi, finisce nel mercato libero a prezzi più elevati, poiché le agevolazioni fiscali dei canoni concordati sembrano non essere più un incentivo sufficiente, considerati i canoni di mercato attuali. Un’altra parte, invece, viene adibita a locazioni brevi per uso turistico, dove il guadagno è ancora più alto e i rischi di danni all’abitazione o di morosità sono ancora inferiori rispetto alla locazione libera. Ci sarebbe poi da parlare a lungo del patrimonio pubblico abbandonato e della quota di unità abitative sfitte. Dal momento che il problema abitativo risulta essere un problema strutturale, non si può tener conto di una vera e propria emergenza, quella ambientale. L’offerta abitativa, stagnante dal 2011, non deve assolutamente portarci a pensare che una soluzione sia quella di costruire ancora e ancora. Le case ci sono, quello che serve è la volontà del pubblico di disporre del proprio patrimonio e di metterlo a servizio della città, non degli speculatori.

L’avvento delle locazioni a breve termine, quindi, non fa altro che accelerare problematiche esistenti. Nel centro storico, dove si concentra più della metà degli annunci (51,7%) gli interi appartamenti in locazione su Airbnb, infatti, sottraggono fino al 6% del patrimonio immobiliare privato di tipo residenziale ed hanno contribuito all’aumento dei prezzi di quelli restanti nel mercato a lungo termine. Dunque, cosa impedisce a Bologna di prendere esempio dalle grandi città europee che hanno regolamentato in maniera ferrea le piattaforme turistiche? Barcellona, Parigi, Lisbona, Londra, Berlino, Amsterdam e fuori dall’Europa anche New York, San Francisco, Tokyo. Queste città hanno deciso di mettere un freno all’overtourism , riconoscendo in maniera chiara gli effetti dannosi di un’economia basata esclusivamente sulla valorizzazione della rendita e sull’evasione fiscale. Cosa manca alla nostra città per poter diventare un vero e proprio modello all’interno di un paese che con molte difficoltà e con poco coraggio sta iniziando ad interrogarsi sulle forme di regolamentazione? Non c’è più tempo, e per poter dare una risposta chiara alla cittadinanza c’è bisogno di scelte radicali e di una forte volontà politica. Airbnb rivendica fortemente la sua appartenenza al campo della sharing economy: bene, si faccia in modo che il suo mercato sia improntato sulla condivisione e non sull’evasione. Si introduca un codice unico identificativo, e al netto del Decreto Crescita, soprattutto il criterio che altre città hanno già adottato da tempo: one home, one host. Una casa, un host. Il requisito necessario per poter condividere la propria casa non può che essere la residenza nell’appartamento che si decide di affittare, limitando al minimo una logica di gestione imprenditoriale. Si introduca un limite di giorni su base annua, limitando l’accoglienza a brevi periodi. Si istituisca un ufficio comunale degli affitti brevi, che possa fornire dati e informazioni riguardo al fenomeno e che possa provvedere, collaborando con l’Agenzia delle Entrate e la Questura, a mettere in campo controlli serrati. E la si smetta di accanirsi sempre e soltanto su quei piccoli host che mettendo in condivisione una stanza, sono poi di fatto gli unici a rispettare le normative fiscali. Senza un meccanismo di regolamentazione chiaro, l’introduzione della cedolare secca nella manovrina del 2017, come rilevato dal Ladest di Siena nello studio Airification of Cities, è ricaduta esclusivamente sui piccoli host. Posto il criterio della residenza, bisognerebbe aprire un ragionamento sulla semplificazione della SCIA, evitando inutili attese e complicazioni burocratiche a chi le tasse vorrebbe pagarle. Sono queste per noi le soluzioni imprescindibili da adottare per fare in modo che la cittadinanza riacquisisca una parte di potere che le era stata sottratta. Che Bologna sia un laboratorio politico d’avanguardia, un modello municipale che indichi una via d’uscita da un sistema economico sempre più predatorio, opponendo al deserto della rendita e dell’ingiustizia sociale, il diritto alla città e la redistribuzione delle ricchezze.

Conoscerete sicuramente un proverbio in uso nel Medio Evo, anche a Bologna, reso celebre dal sociologo Max Weber: “L’aria della città rende liberi”. Le città sono state il luogo in cui vennero distrutti i rapporti di sottomissione feudali, e divennero la culla di una civiltà fondata su diritti universali e non sull’arbitrarietà del sovrano. Oggi, quelle persone con le loro tende, i loro sacchi a pelo, i loro cartelli e la loro rabbia vi stanno chiedendo a gran voce “l’aria della città di Bologna ci rende davvero liberi?”. Cosa pensate di rispondere? Cosa pensate di rispondere a quella parte di città che decide di mettere in gioco le proprie energie e le proprie competenze nella città di Bologna, per la città di Bologna, che viene sistematicamente privata del diritto ad un alloggio a prezzi sostenibili?

Cosa pensate di rispondere, pur essendo a conoscenza della sentenza n.49/1987 della Corte Costituzionale, che recita: "È indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione"?
Parole così semplici e comprensibili non lasciano spazio a scuse e giustificazioni di ogni sorta: quando la collettività non riesce a impedire che delle persone rimangano prive di un’abitazione è lecito parlare di fallimento, come è lecito riporre le responsabilità di questo fallimento nell’istituzione pubblica e nei rappresentanti eletti.

Individuare le responsabilità passate e presenti ci è utile per poter re-immaginare il futuro, ed è per questo che oggi vogliamo porvi di fronte ad un bivio, le cui strade condurranno a due città profondamente diverse: da un lato c’è un pubblico che altro non è che un ente tra gli enti, che riduce lo spazio politico ad un mero esercizio gestionale della cosa pubblica, che impronta la propria economia sulla rendita e l’improduttività, che si rende sordo di fronte ai bisogni di una collettività intera. Nonostante ci venga ripetuto sempre più spesso che non esista un’alternativa possibile, crediamo ci sia un’altra via, molto più impegnativa e complessa della prima. Che il pubblico torni ad essere realmente pubblico, che sappia interpretare la domanda sociale e trasformarla in interventi efficaci e risolutivi, che non abbia paura di scontentare le pretese di grandi multinazionali e che abbia il coraggio di tutelare quella parte di città più debole, ma al contempo più produttiva. Che la ricchezza e il vanto di Bologna siano i suoi studenti, i suoi lavoratori, le sue famiglie, non la sua rendita o le vetrine e i ristoranti solo per turisti. Non crediamo esistano vie di mezzo, a voi la scelta su quale strada intraprendere".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:46
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