Ricordo di Enzo Biagi nel decennale della scomparsa, l’intervento di Giandomenico Crapis
Oggi pomeriggio, nell’aula del Consiglio comunale a Palazzo d’Accursio, il Comune di Bologna ha ricordato Enzo Biagi nel decimo anniversario della scomparsa. Di seguito l’intervento di Giandomenico Crapis, curatore del volume &ldquo...
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Oggi pomeriggio, nell’aula del Consiglio comunale a Palazzo d’Accursio, il Comune di Bologna ha ricordato Enzo Biagi nel decimo anniversario della scomparsa. Di seguito l’intervento di Giandomenico Crapis, curatore del volume “Enzo Biagi. Lezioni di televisione” (RaiEri, 2016).
"Non nascondo di sentirmi onorato di partecipare, e ve ne ringrazio, a dieci anni dalla scomparsa, a questo ricordo di Enzo Biagi, proprio qui, nel consiglio comunale della ‘sua’ Bologna.
Tutti sappiamo chi è stato Biagi, tuttavia qualcosa ancora su di lui si può raccontare.
Dico questo perché Biagi è stato, certo, uno dei più grandi giornalisti del secolo, ma forse è stato l’unico ad attraversare tutti i settori dell’industria culturale.
E’ questa la sua cifra distintiva: la capacità di muoversi da un medium all’altro, di stare dentro gli apparati della cultura di massa, la cui crescita lo accompagna negli anni della formazione e delle prime grandi responsabilità professionali.
Parliamo non solo della sterminata attività giornalistica di Biagi: dal Carlino ad Epoca, dalla Stampa ad Oggi dal Corriere della sera alla Repubblica da Panorama all’Espresso, o di quella altrettanto imponente di scrittore e di reporter;
parliamo dell’impegno alla radio, negli anni della liberazione e nel dopoguerra proprio a Bologna;
parliamo della lunga stagione alla televisione che gli diede la definitiva popolarità; parliamo della sua attività di direzione editoriale all’interno di case editrici;
parliamo del suo essere intellettuale moderno, senza snobismi verso la cultura di massa, lontano da quella ‘ideologia del rifiuto’ propria della maggior parte delle élites intellettuali e politiche del dopoguerra.
Non solo, dunque, un testimone del tempo, dal titolo di un suo celebre libro; ma anche un uomo completamente dentro al suo tempo, interno ai suoi apparati culturali e alle sue forme comunicative.
Oltre ad essere tutto questo, Biagi è un innovatore, un professionista che ovunque vada segna novità e cambi di passo. Una prima dimostrazione la dà ad Epoca, lo dirige dal ‘55 al 1960, prima di essere costretto a dimettersi per un editoriale scomodo sul premier Tambroni per i fatti luttuosi del luglio di quell’anno. Ne fa un giornale popolare ma autorevole, attento alla realtà, alla cronaca, alla politica, all’arte, ai fatti curiosi, mai banale. Vi ricorrono con frequenza inserti, cromaticamente seducenti, di arte, di storia, di geografia, di scienza. Proprio lo spazio dedicato alle pagine divulgative è l’elemento caratteristico del settimanale diretto da Biagi, che usa l’immagine con intento quasi pedagogico. Il lettore è guidato alla scoperta della realtà di un paese che si modernizza rapidamente, ma anche della sua storia, della sua cultura.
Ma Biagi innovatore lo è, soprattutto, da direttore del telegiornale, tg che viene chiamato a dirigere nel settembre 1961. Biagi gli toglie l’aria grigia, ingessata, ossequiosa e filogovernativa che aveva, fatta spesso di cerimonie, inaugurazioni, passerelle di ministri, ed apre alla cronaca, chiama i giornalisti accanto agli speaker, coinvolge colleghi come Montanelli e Bocca. Ne fa un tg per la gente e non per i politici: non più un’algida successione di notizie ufficiali ma un racconto coinvolgente. La direzione Biagi metteva fine ad un modello, notava Gianni Rodari su ‘Rinascita’, dove “perfino gli annunciatori parlavano col tono di chi giunge a cavallo per recare un messaggio dell’imperatore nel momento più critico della battaglia”.
Poco dopo affianca al telegiornale RT, un rotocalco quindicinale che tocca per la prima volta temi come la mafia, le raccomandazioni, la guerra fredda, sulla cui scia poi nascerà TV7.
L’avventura al tg dura poco, la politica non regge a lungo il suo nuovo modo di informare gli italiani. Ma il suo rapporto con la tv non s’interrompe.
Sarà sempre Biagi ad inventare nel 1969 un programma innovativo, un’intervista a più voci: si chiama Dicono di lei e anticipa di un decennio il primo talk della televisione, Bontà Loro. Una formula che egli perfezionerà due anni dopo con il programma Terza B facciamo l’appello, che registra negli studi dell’Antoniano, qui a Bologna. (Una di queste puntate, quella con Pasolini, viene censurata e mandata in onda solo alcuni anni dopo.)
Tra il 1982 e il 1985 introduce nel piccolo schermo con Film-Dossier un formato mutuato dalla grande tradizione dei circoli del cinema, riportando in video grandi film italiani o stranieri cui fa seguire un dibattito in studio, sempre vivace, sempre interessante: ce n’è per tutti i gusti da Intrigo internazionale a Un sacco bello da Amarcord a Alien, da Il braccio violento della legge ad Angi Vera, da La caccia a Là dove scende il fiume.
Ed è sempre Biagi, a metà degli anni ottanta, ad inventare sulla televisione pubblica, con Linea Diretta (1985), la striscia quotidiana di informazione in tarda serata.
Dieci anni dopo inventerà il Fatto: in coda al Tg1 delle 20 ogni sera 5 minuti che con sobrietà, ritmo, linguaggio semplice, immagini ed interviste raccontano al paese l’accadimento del giorno. Un programma ed una formula di grande successo, nonostante i tentativi mai più replicata dopo il famoso ‘editto bulgaro’ del 2002 che ne determinò l’allontanamento. Per ironia della sorte lo stesso programma veniva premiato nel 2004, in una trasmissione della stessa Rai, come il miglior programma dei primi 50 anni di televisione.
Ma Biagi si muove con la stessa capacità innovativa anche in altri campi dell’industria culturale. Da direttore editoriale della Rizzoli, per esempio, con geniale intuizione, decide che il settimanale Novella, pensato fino ad allora per un certo tipo di pubblico femminile, debba sostituire i suoi raccontini letterari con i racconti del duemila, quelli che la cultura di massa offre ogni giorno. Novella diventa allora Novella 2000. Sarà un successo
Al Resto del Carlino, dove torna nel 1970 da direttore (anche qui pagando presto dazio per il suo giornalismo senza riguardi per il potere), in occasione del centenario della presa di Roma sperimenta ciò che ancora nessun giornale italiano ha fatto: un inserto a puntate con la Storia d’Italia dal 1870.
Grazie a questa sua virtuosa trasversalità pubblicherà alla fine degli anni settanta anche una Storia d’Italia a fumetti.
Sono, questi, tutti esempi che testimoniano di un apporto poliedrico e complesso non solo alla storia del giornalismo ma all’industria culturale nazionale nel suo insieme. Un apporto forse non ancora del tutto approfondito dagli studiosi e dagli storici.
C’è però un altro aspetto quasi inedito della sua vicenda professionale, sicuramente poco noto anche agli addetti ai lavori. Siamo nella seconda metà dei cinquanta, Biagi è direttore di Epoca. Negli anni che vanno dal 1956 al 1960, crea una rubrica che si chiama ‘Televisione’ e che con frequenza settimanale si occupa di una tv appena nata: la firma lui stesso seguendo i programmi, tutti i programmi, non solo quelli ‘alti’.
Lo fa da direttore. Dunque per Biagi scrivere di tv non è un ripiego, ma una scelta convinta, indicativa del desiderio di entrare in sintonia con l’Italia più popolare. Insomma, da direttore, si sporca le mani senza snobismi con un mezzo ‘basso’ che al tempo la cultura, la politica, gli intellettuali non degnavano di molta considerazione
Biagi, che è tra i primi a farlo, però è sicuramente il primo a fornire uno statuto forte alla critica televisiva, a darle un’anima. I suoi scritti suscitano reazioni e polemiche. Di fatto inventa la critica televisiva.
Sono centinaia di note, una miniera di informazioni, un ‘tesoretto’ che parla non solo della tv e del paese di quegli anni, ma anche delle idee che Biagi ha della professione; le sue non sono mai esercitazioni di stile, ma critiche puntuali, nel merito. Vere e proprie Lezioni di televisione scritte molti anni prima di farla: un manifesto di quella che sarà la sua filosofia una volta passato dall’altra parte dello schermo.
La rubrica di Biagi è molto seguita: un lettore gli scrive che è la prima cosa che guarda dopo aver comprato il giornale,
la figlia gli confessa (come racconta Biagi in una di queste sue note) che una compagna di classe l’ha apostrofata dicendo: “com’è antipatico tuo padre, non gli va mai bene niente”.
Inventa dunque la critica tv. Perché la inventa? Perché è di Biagi, infatti, la prima vera polemica pubblica con un personaggio televisivo. Succede con Renato Rascel, in onda al sabato sera (autunno 1956) con uno spettacolo secondo Biagi ripetitivo: il mondo è cambiato, scrive, ed egli fa da vent’anni sempre le stesse gag. Rascel non ci sta e aspetta l’ultima puntata per attaccare il giornalista dal video con un fuori copione esplosivo: ‘Chi è questo Biagi?’ dice con tono di sfida.
Il fatto è enorme per l’epoca, finisce sui giornali, e il direttore generale della Rai è costretto a mandare una lettera di scuse al giornalista.
E’ il primo esempio di uso personale del video (da parte di un divo del piccolo schermo), ma anche il primo di critica tv che diventa un ‘caso’.
Enzo Biagi pubblica la sua prima rubrica tv a marzo del 1956. C’è Lascia o Raddoppia che fa parlare il paese: del programma racconterà i protagonisti, a volte con ironia, a volte con umana partecipazione. Ma soprattutto intuisce le ragioni profonde del successo di Mike Bongiorno, disegnandone, molti anni prima, quel profilo che Eco avrebbe poi celebrato nella sua ‘Fenomenologia’: leggere
'Caro Bongiorno, lei rappresenta, scusi l’ardire, il trionfo dell’uomo comune, un po’ timido, un po’ miope, un po’ vago', 'piace proprio per questo': 'non riesco a capire - gli dice - perché le domandino autografi, perché li chiedano a lei e non a mio cugino Tonino. Lei è uno di famiglia'.
Biagi rimprovera alla prima tv le censure bigotte e ridicole, rivendica il diritto-dovere dei critici di dire “il loro parere” anche se sgradito, oltre che con Rascel polemizza con Gregoretti, con Chiari, con i dirigenti della Rai che hanno poco coraggio, rimbrotta Totò che inneggia durante Il Musichiere, prima delle nuove elezioni, al comandante Achille Lauro (leader del partito monarchico);
ma nel mirino del giornalista ci sono i programmi d’informazione, soprattutto un telegiornale pieno di “notizie indifferenti”:
“il ministro che inaugura la fiera nel capoluogo del suo collegio, il ministro che tiene un discorso, sempre nel capoluogo del suo collegio, il ministro che saluta la partenza per le colonie marine dei figli dei dipendenti”. Tutti fatti che interessano, per il giornalista, solo “gli organizzatori delle varie manifestazioni e i parenti più stretti degli onorevoli”.
Secondo Biagi “la tv italiana non manca di eccellenti operatori ma scarseggia di idee e di coraggio”. Quando si annuncia, già con largo anticipo, la nascita del secondo programma, si chiede “Che cosa ci porterà? Ministri o Tognazzi? Ciclismo o congressi? Avremo più cronache, più Bongiorno, più riviste, più commedie, più critiche, più libertà, o sarà ancora il trionfo della conferenza stampa? Possono sperare i maggiori di trent’anni in un po’ di pugilato, in un po’ di satira, in un po’ di teatro “pericoloso”, in un po’ di notizie, belle e brutte, così come vengono, così come è la vita?”
Biagi non ha dubbi, quel che manca è
“il racconto della cronaca, dei fatti che rispecchiano in qualche modo la nostra vita, e che hanno l’incomparabile fascino delle cose vere …. Un torneo di calcio, o un dibattito politico (facendo vedere, sia nel football, come nelle discussioni, tutte le squadre), un processo o uno spettacolo, una clamorosa inchiesta poliziesca, o una commovente cerimonia religiosa. Il mondo è fatto, nel bene e nel male, di santi e di “miss”, di cialtroni e di eroi; non si può narrare nemmeno il sacrificio di Gesù se si trascura la figura di Giuda.”
Biagi è inoltre il primo critico tv ad invocare il calcio sullo schermo. Ammette di essere “uno di quegli individui che si divertono a vedere ventidue cretini che inseguono un pallone” (“del resto”, ironizza, “ho visto dei palloni con seguiti anche più nutriti”): piuttosto che “le regate del Tigullio” o il ciclocross, la Rai quando si deciderà a comprare “non un Milan-Inter, ma almeno un’Atalanta-Padova, un Lanerossi Vicenza-Spal?”.
Ritorna spesso anche la sua Bologna, in queste sue note televisive. In un caso addirittura indirizza una ‘Piccola supplica al sindaco di Bologna’ per ‘segnalare’ un concorrente bolognese di Lascia o Raddoppia, a suo parere troppo ciarliero.
Dunque. Capacità di innovazione e indipendenza dal potere, virtuosa versatilità unita ad un linguaggio semplice ed immediato, mai sciatto e mai ridondante, frutto di uno scavo che punta all’essenziale, un’attività vasta e trasversale passata attraverso tutti i media, la capacità di entrare in sintonia umana con le storie raccontate, hanno fatto di Enzo Biagi un esemplare raro nella storia del giornalismo italiano.
E se è vero che è la qualità dell’informazione a determinare anche la qualità di una democrazia, allora è certo che l’apporto di Enzo Biagi alla crescita democratica del nostro paese è stato certamente rilevante. E il vuoto da lui lasciato nel giornalismo italiano ci sembra che ancora oggi non sia stato, ahimè, ancora riempito".