Giorno del Ricordo, seduta solenne del Consiglio comunale. L'intervento della giornalista e scrittrice Lucia Bellaspiga
Questa mattina il Consiglio comunale si è riunito in seduta solenne in occasione del Giorno del Ricordo. Dopo gli interventi della presidente dell'Aula Luisa Guidone e del presidente del Comitato di Bologna dell’ANVGD, Marino Segnan, ha ...
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Questa mattina il Consiglio comunale si è riunito in seduta solenne in occasione del Giorno del Ricordo. Dopo gli interventi della presidente dell'Aula Luisa Guidone e del presidente del Comitato di Bologna dell’ANVGD, Marino Segnan, ha portato la sua testimonianza la giornalista e scrittrice Lucia Bellaspiga. Di seguito il suo intervento.
"Inizio anche io con doverosi, seppure brevi, ringraziamenti. A partire dalla vicesindaco Marilena Pillati, dalla presidente del consiglio comunale, tutta la giunta, il consiglio, il signor Prefetto, le autorità militari presenti, i rappresentanti degli esuli, in particolare il presidente Segnàn… Però soprattutto ringrazio i tanti studenti qui presenti, perché sono i nostri veri protagonisti: senza di loro, che sono il futuro, parleremmo a vuoto, parleremmo tra di noi che già sappiamo le cose. E' sempre più importante tramandare questa verità storica, quindi questo mio grazie a Bologna non è un pro forma perché, se è vero che, mai come in questo 2018, il Giorno del Ricordo è stata una memoria condivisa in tutta Italia, però è altrettanto vero che, mai come quest'anno, io ho visto dei rigurgiti molto gravi di negazionismo, persone che dicono che "non è vero", che "non è successo niente". Ragazzi, non vi stupite, accade anche con le stragi naziste, nonostante tutta la documentazione sui lager nazisti c'è chi tuttora li nega. La stessa cosa succede con le Foibe e gli eccidi comunisti di Tito: o vengono negati o vengono minimizzati o addirittura giustificati, "si è vero è successo, ma c'è un motivo valido". Naturalmente non c'è mai un motivo valido per compiere delle stragi e delle azioni di pulizia etnica, come abbiamo sentito poco fa dalle parole della presidente del consiglio. Inizio dunque citandovi due righe che sono scritte non a Basovizza, non su una foiba, ma a Dachau, all'ingresso di un campo di sterminio nazista, ed è una formula che va benissimo per tutti gli orrori della storia: "Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo", condannati! Quando sentiamo inneggiare alle foibe, attenzione, perché quei ragazzi che oggi gridano questi slogan in futuro potrebbero ricompiere quelle azioni, dato che la trovano una cosa bella.
Il Giorno del Ricordo è stato istituito soltanto nel 2004, sessant'anni dopo la tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata, però è stato istituito praticamente all'unanimità e questa è una cosa quasi unica: la politica è spesso litigiosa, è difficile che i politici vadano d'accordo, invece sull'istituzione di questo Giorno su un migliaio di parlamentari soltanto 15 sono stati i voti contrari, già quello è stato quindi un atto di grande condivisione.
Che però è diventata memoria nazionale soprattutto il giorno in cui il Presidente Giorgio Napolitano nel 2007 dichiarò apertamente che "la tragedia di migliaia di italiani imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe, assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica. Il moto di odio e di furia sanguinaria aveva come obiettivo lo sdradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia..." e poi aggiunse "... dobbiamo assumerci la responsabilità dell'avere negato la verità per pregiudizi ideologici".
Quindi, ragazzi, che cosa succede in poche parole in Istria, Fiume e Dalmazia? Il passato non lo ripercorriamo tutto, sarebbe troppo lungo, sappiamo che per secoli questi territori facevano parte della Repubblica di San Marco, vi si parlava veneziano, le genti erano veneziane, i miei stessi avi, nonni, bisnonni, trisnonni, dovremmo andare indietro di secoli, erano autoctoni, vivevano in quelle terre e quindi parlavano veneziano, avevano cognomi veneziani. Varie guerre e occupazioni si sono poi succedute fino all'arrivo dell'Impero austro-ungarico che dà un'impronta molto forte. Con la prima guerra mondiale, penso l'abbiate già studiata, l'Italia è tra i vincitori e in qualche modo rientra in questo territorio, ritorna insomma a governare su un territorio da secoli italofono. Poi però purtroppo scoppia la seconda guerra mondiale a causa del delirio nazifascista, che porterà, come ogni conflitto, terribili disastri ovunque, ma soprattutto nella terra giuliano dalmata, la zona che va, come ha già detto Marino Segnàn, da Trieste in poi: guardate l'Italia e lo Stivale, c'è l'Istria, questa penisola triangolare, e poi la costa della Dalmazia, oggi Slovenia e Croazia. Bene, con l'8 settembre del '43, quando l'Italia abbandona la sua alleanza con Hitler e c'è l'armistizio, in quelle regioni noi italiani ci troviamo fra due fuochi, i tedeschi che fino a poco prima erano i nostri alleati da una parte, e i titini, cioè i partigiani e l'esercito di Tito che sarà poi dittatore comunista della Jugoslavia, dall'altra. Ci troviamo praticamente tra due dittature, come popolazione civile le prendiamo da tutte e due le parti, ed è proprio dopo l'8 settembre '43 che inizia la prima furiosa ondata delle foibe.
Che cosa sono le foibe, ragazzi? Molto brevemente, sono degli inghiottitoi, delle buche, degli abissi profondi anche centinaia di metri, che l'acqua piovana ha aperto nelle rocce carsiche, quindi dei burroni bui… Spesso sul fondo c'è anche dell'acqua. Ebbene, che cosa succede dopo l'8 settembre? Che i partigiani di Tito vanno di casa in casa a rastrellare soprattutto i capifamiglia, buttandoli in foiba ancora vivi e legati l'uno all'altro con del filo di ferro e sparando solo al primo. Scusate se racconto questi orrori ma è la storia e va raccontata. Il primo cadeva nella foiba trascinando con sé quelli legati a lui con il filo di ferro, capite che era una morte atroce. Ed era altrettanto atroce - per chi a casa non sapeva più niente dei propri cari - aspettarli, aspettarli, aspettarli, e ancora oggi non sapere dove sono i loro corpi, non avere una tomba su cui pregare per la propria mamma, per il proprio papà. Queste persone, i figli, i fratelli, sono ancora vive, io ne ho conosciute a centinaia, non come figlia di esule, come giornalista.
Perché come figlia di esule ho saputo anch'io poco: come ha detto Marino Segnan poco fa, i nostri genitori hanno taciuto, come d'altra parte i sopravvissuti di Auschwitz, perché come la racconti questa cosa? torni a casa e racconti tanto orrore? ma chi ti crede? chi ti capisce? Invece come giornalista è un qualcosa che io mi sono scoperta pian piano, intervistando centinaia di sopravvissuti.
Tornando alla storia, dopo questa prima ondata di Foibe del 1943, per un certo periodo tornano forti i tedeschi, e questo, se è negativo perché parliamo dei nazisti, dal punto di vista della sopravvivenza per gli italiani di Istria e Dalmazia è una pausa dalla tragedia delle foibe, perché i titini si ritirano parzialmente. La furia omicida antitaliana ricomincia, badate bene perché questo è molto importante, in tempo di pace, a guerra ormai finita. Chiedo ai ragazzi di mettervi nei panni di queste persone: toglietevi i vostri e rivestite i panni di questi italiani. Avete presente i film sulla Liberazione? Dopo il 25 aprile l'Italia gioisce, le città riprendono vita, c'è tutto un fermento perché, finita la guerra, sconfitta la dittatura nazifascista si può rinascere, si può ricostruire un'Italia che farà tra poco sarà repubblicana e nelle piazze, a Bologna, Roma, Milano, tutti festeggiano abbracciando gli anglo-americani che entrano e liberano le città. Quindi si balla, si canta, ci regalano saponette, cioccolato, è festa! Che cosa succede in una sola regione, una sola regione italiana? Che qui i liberatori sono i titini. Immaginate la paura. Non c'è festa lì, dopo il 25 aprile, anzi: il 1 maggio del 45, ripeto ormai in tempo di pace, (il racconto è identico in tutte le famiglie), alle porte delle case degli italiani la notte battono con il calcio del fucile. La famiglia si sveglia, va ad aprire col cuore in gola e si trova gli sgherri di Tito con la bustina in testa e la stella rossa, la stella rossa tipica di queste dittature comuniste, come la svastica identifica la dittatura nazista, il fascio quella fascista... Capite la tragedia di queste famiglie, quelli che allora erano i figli, ragazzi della vostra età, oggi sono ancora vivi e raccontano di un papà che piangendo usciva, magari nascondendo l'orologio e la fede d'oro che aveva al dito, perché sapeva che non sarebbe più tornato. Anche se chi li portava via li rassicurava: "E' solo per un interrogatorio, tornerai presto a casa". Un interrogatorio, perché? E' stato detto bene poco fa dalla presidente del Consiglio comunale, Luisa Guidone: erano il postino, il farmacista, il notaio, il professore di scuola, la maestra, tantissimi carabinieri, più di 400 ne abbiamo persi in questa tragedia, tantissimi anche i finanzieri, che oltre a tutto non erano istriani o dalmati, perché come saprete i militari vengono trasferiti da una regione all'altra, molti venivano dal meridione, tanti erano siciliani… ma erano italiani . E qui entriamo allora nel problema se non del razzismo del nazionalismo. Dovevano morire in quanto italiani. Questi erano i "liberatori".
In tanti mi raccontano l'odissea delle mamme coraggio e delle mogli coraggio, che il giorno dopo si presentavano al "tribunale del popolo", i nuovi organismi jugoslavi di "giustizia", che giustizia non era, per conoscere la sorte dei loro cari. "Tribunali" che interrogavano queste persone senza colpa, le condannavano senza colpa, con falsi processi dai quali queste persone non tornavano più. Tu, Marino Segnan, hai parlato di 12 mila scomparsi nel nulla, le cifre però non le abbiamo, perché di fronte a fenomeni di questo genere chiaramente non c'è qualcosa di scritto, è vero che qualcosa sta uscendo dagli archivi, ma oltre alle migliaia di persone morte in foiba, ce ne sono molte di più che sono state portate nei campi di concentramento e di sterminio, in questo caso non della Germania, non nazisti, ma della Jugoslavia, comunisti, e da lì dove sono finiti? Ci sono sicuramente tante fosse comuni, dalle quali ancora andrebbero recuperate le salme, e dagli archivi iniziamo anche a capire dove sono, ma siamo in ritardo di 70 anni nel restituire i corpi ai loro cari che li reclamano.
Finora vi ho parlato solo del '45, ma attenzione, c'è un altro episodio importante che vi voglio raccontare, avvenuto addirittura nel 1946, il 18 agosto: ormai l'Italia è una Repubblica, gli italiani hanno già votato, la guerra è un passato che si sta allontanando, siamo in pieno periodo di ricostruzione e di pace. Che cosa succede invece a Pola, che è ancora Italia - abbiamo detto che solo il 10 febbraio del '47, data infatti scelta per il Giorno del Ricordo, perdiamo le nostre terre definitivamente ? Siamo sulla spiaggia di Pola, il 18 agosto è una domenica di sole, tutti sono al mare, ma in più quel giorno c'è una importante gara nautica di stampo patriottico, organizzata dalla Pietas Julia, e tutti gli italiani (che sono il 90% della popolazione di Pola) si riversano sulla spiaggia con i loro bambini per assistere alla competizione. Su quella spiaggia c'erano presenti da anni dei residuati bellici, 28 grandi ordigni, anche mine antisommergibile, che erano stati disinnescati. La gente era abituata a vederli lì, i bambini ci stavano a cavalcioni e le mamme ci mettevano a stendere gli asciugamani, non c'era nessun pericolo. Se non che il giorno prima una mano assassina è andata a riattivare gli inneschi, quindi quei 28 ordigni che tutti sapevano essere innocui esplodono. E' terribile il racconto di chi era lì. Più di cento sono i morti, parecchi ridotti a brandelli, molti fra l'altro i bambini. Tutti i sopravvissuti riportano il ricordo dell'acqua del mare rossa di sangue e dei gabbiani che, urlando, si tuffavano nell'acqua per mangiare quello che restava dei corpi umani. Sottolineo che nessuno di voi, tranne gli esuli qui presenti, avranno mai sentito nominare la strage di Vergarolla. E qui siamo proprio a Bologna: è importante perché io quando racconto la strage di Vergarolla la paragono proprio a quella di Bologna, che è l'altra terribile strage, con ottanta e più morti, ed è più recente quindi tutti spero la conoscerete, anche se era il 1980 e voi non eravate nati, ma è una storia patria e una storia cittadina! Allora, noi conosciamo la strage di piazza Fontana, la strage di Bologna, lo stragismo più recente e grazie a Dio lo stigmatizziamo, ma non conosciamo la primissima e la più sanguinosa delle stragi della Repubblica italiana, anche questa insabbiata, taciuta, "dimenticata". Perché? Come mai decenni di silenzio? Di chi è la colpa? Perché se non andiamo alle cause del silenzio, secondo me questi Giorni del Ricordo sono troppo edulcorati: bello il ricordo, begtli gli applausi, ma chiediamoci perché ci hanno nascosto tutto questo, a voi e anche a me, io a scuola non ho studiato una riga di tutto questo, non solo Vergarolla, niente, neanche le foibe... Tanti sono i motivi di questo oblio, il primo: la storia la scrive chi vince la guerra, è così purtroppo. Per fortuna non ha vinto il nazifascismo, se no studieremmo un'altra storia anche peggiore. Ma anche gli orrori di chi l'ha vinta, questa guerra, vanno raccontati, altrimenti non facciamo un'operazione di verità, e la Jugoslavia è tra i Paesi vincitori. Secondo, la matrice non era nazifascista, quindi era più difficile da raccontare, perché oltre a tutto Tito rappresentava in quegli anni una specie di Stato cuscinetto rispetto al comunismo di Stalin, all'Unione Sovietica, per questo ai Paesi democratici dell'Europa faceva comodo un alleato come Tito. Però c'è anche una causa italiana che dobbiamo assolutamente riconoscere: l'Italia, che ha perso la Seconda guerra mondiale, come ogni Paese che perde una guerra doveva pagare un debito, un enorme debito in soldi ai Paesi vincitori. L'Italia doveva pagare qualcosa come 125 milioni di dollari, già sono tanti oggi, ma pensate allora. Come poteva pagare una cifra così enorme alla Jugoslavia? Con che risorse? La pagò semplicemente con i negozi, le case, le fabbriche, le aziende, i terreni, le prorprietà, i beni mobili e immobili di questa piccola parte di italiani, gli Istriani, Fiumani e Dalmati, che da soli si sono sobbarcati il debito dell'intero Stivale che era stato fascista. Quindi, almeno dovremmo dire GRAZIE a qu
este persone, anche quelle qui presenti. Perché se io a Milano ho la mia casa e non mi sento all'estero, se voi a Bologna, tutti qui presenti, avete la vostra casa, o azienda, o negozio che vi permette di vivere, è perché loro hanno dovuto abbandonare tutto, non solo per restare italiani e scappare da questa parte dell'Adriatico a chiederci aiuto, ma anche proprio per pagare il nostro debito; è ovvio che l'Italia promise a loro "vi rifonderemo, vi risarciremo", eppure siamo nel 2018 e hanno ricevuto indietro il 5%!
Ho detto che venivano di qua dell'Adriatico per salvarsi e chiederci aiuto. Ma come è stato accennato prima, in questa città non sono stati ben accolti, e non solo qui. Perché? Perché si era creato un fraintendimento molto grave: la nomea era che questo popolo fosse fascista. Ragioniamo insieme, allora: ho detto prima che lo Stivale, l'Italia tutta, aveva un governo fascista, e l'Italia fascista aveva perso una guerra. Perché dunque accusare loro? Che cosa c'entrano i giuliano dalmati? Anche qui a Bologna c'erano i fascisti, prima, anche a Milano a Roma a Palermo, e quindi bisogna buttare in foiba i palermitani, i bolognesi, i romani? Loro erano la popolazione civile. E la popolazione civile era costituita da persone di fede fascista o di fede antifascista, tutti insieme sono stati loro epurati "in foiba", ci sono finiti tanti del Comitato di liberazione nazionale o addirittura tanti rappresentanti della sinistra, anche comunisti, ma fedeli al loro essere italiani. E questo lo sottolineo ancora di più oggi, dopo i gravi eventi appena accaduti a Macerata, o a Torino, e in questi giorni in cui si è persino inneggiato alle foibe perché "tanto ci morivano i fascisti" (i fascisti mi dicono essere in ogni caso esseri umani e non credo, soprattutto in tempo di pace, che andassero gettati in foiba).
Vorrei rapidamente citare adesso qualche esempio di testimonianza che mi è stato raccontato per "Avvenire", il giornale per cui lavoro, da persone che ancora oggi supplicano di avere indietro le salme dei propri cari per dare loro sepoltura. Una è la signora Lidia Cernecca, che vive a Verona: lei è riuscita a risalire a chi aveva rapito suo padre, lo aveva decapitato e con la testa aveva organizzato perfino una partita di pallone sui binari… (Chiedo sempre scusa ai ragazzi, ma siete abituati perfino a vedere le immagini crude dei lager… però non bisogna assuefarsi a queste cose, bisogna ancora scandalizzarsi). Perché era stato decapitato? Per portare la sua testa da un orologiaio e togliergli i denti d'oro chge aveva in bocca. Nidia Cernecca è riuscita, dopo decenni di battaglia solitaria, non solo a ritrovare chi aveva compiuto tutto questo e a far processare questo "boia" (assoluta eccezione, perché noi vediamo i processi fatti ai "boia" dei lager nazisti, a differenza dei "boia" jugoslavi. Boia non è un insulto, lo uso nel significato classico di persona il cui mestiere è uccidere). Lei infine è riuscita anche a sapere dove il corpo di suo padre era stato gettato.
C'è poi il caso di un'altra famiglia di Fiume che mi ha detto "noi siamo riusciti a scappare da Fiume solo nel '49", quindi per quattro anni sono vissuti nelle condizioni che vi dicevo, "perché aspettavamo tutti i giorni il ritorno di Enrichetta. Mamma piangeva tutti i giorni e attendeva Enrichetta". Chi era Enrichetta? Sua sorella, diciassette anni, rastrellata anche lei per essere "interrogata", una studentessa giovanissima di Istituto tecnico, interrogata perché? Anche lei non è mai più tornata.
Tantissime le storie di desaparesidos, tutte tremende, non posso qui raccontarvele tutte, ma cito ancora quella del carabiniere di cognome Bruno: sua figlia Grazia aveva tre anni, lui la teneva in braccio quando ci fu il solito colpo alla porta, lui la depositò a terra e seguì gli uomini di Tito, Grazia ancora ricorda un bacio e le ultime parole del padre, "non ho fatto niente di male, non vi preoccupate, torno presto". Questa frase la dicevano tutti perché pensavano che questa regola morale, del "non ho fatto niente di male quindi perché dovrei temere?", fosse sempre valida. Lì però non valeva più, perché già essere italiano era la colpa. E poi cito ancora Piero Tarticchio, uno scrittore oggi famoso, che ebbe sette infoibati in famiglia: uno dei suoi zii era don Angelo Tarticchio. Qui in sala non ci sono rappresentanti della Chiesa ma, oltre ai carabinieri e ai finanzieri, i sacerdoti furono una della categoria più perseguitate, decine e decine di preti infoibati in quanto preti, la religione naturalmente in un regime ateo andava punita. Chiedo scusa di nuovo ai ragazzi, ma don Tarticchio fu infoibato in condizioni che è difficile descrivere, fu evirato, e poi gli calcarono una corona di spine fatta di filo spinato in test: così fu recuperato dalla foiba.
Concludo infine con due vicende molto indicative, perché abbiamo parlato di "secolo buio". Giorgia Rossaro Luzzatto, una signora di Gorizia, raccoglie tutti i drammi del '900 nella sua stessa famiglia. Oggi la signora ha 95 anni ma è molto lucida. Suo padre fu portato via dai comunisti jugoslavi nel '45 e sparì nel nulla, ma la zia e la nonna furono deportate dai nazisti ad Auschwitz, e anche di loro non c'è più alcuna traccia, cenere al vento attraverso i forni crematori. Uno zio fu ucciso dai comunisti sovietici, non più di Tito, nelle fosse di Katyn dove furono massacrati con un colpo alla nuca 10.000 ufficiali polacchi, e due cugini furono poi deportati in un gulag sul Don, sempre dal regime sovietico, e condannati ai lavori forzati.
Ecco, questa credo sia una storia importante perché raccoglie in una sola famiglia tutti i Giorni, del Ricordo, della Memoria, "purtroppo - dice la testimone - noi dobbiamo celebrarli tutti, in famiglia". Mi piacerebbe che il presidente Mattarella - lo dico qui e glielo scriverò - concedesse alla signora Giorgia Rossaro Luzzatto, che tra l'altro come sentite dal cognome è anche ebrea, il titolo di senatrice a vita come giustamente ha fatto di recente con Liliana Segre, anche lei reduce dal secolo buio e dagli orrori invece nazisti.
E infine nomino il signor Giuseppe Comand, che ho intervistato una ventina di giorni fa, 98 anni, anche lui lucidissimo, ultimo sopravvissuto della squadra dei vigili del fuoco che nel '43 si calarono nelle foibe riportando in superficie le prime centinaia di corpi. Vi annuncio con molta gioia che il presidente Mattarella ha letto questo mio articolo su "Avvenire" e lo ha appena insignito del titolo di Commendatore al merito della Repubblica. Sono gesti importanti, vengono dalle alte autorità e ci confortano.
Soprattutto ci confortano - e qui veramente ho chiuso - visto ciò che per ignoranza succede in questi giorni in alcune piazze, ma attenzione, anche in alcune aule comunali, dove ci sono sindaci che stanno celebrando il controgiorno del Ricordo, sindaci di questa Repubblica che invitano i negazionisti a parlare, come se il 27 gennaio, Giorno della Memoria, invitassimo i naziskin… Invece di far parlare gli esuli invitano i rappresentanti del negazionismo. Il risultato lo abbiamo visto l'altro giorno a Macerata, dove alcuni manifestanti hanno sfilato parafrasando le note di Raffaella Carrà ("Ma che bello far l'amore da Trieste in giù") e cantando invece "Come è bello far le Foibe da Trieste in giù"...
Diceva giustamente Marino Segnan che tutto questo andrebbe stigmatizzato da parte di tutte le autorità italiane, dai sindaci, dai presidenti dei consigli regionali, comunali, da tutte le istituzioni in blocco. Dobbiamo indignarci, sì, ma anche esprimere per iscritto la nostra indignazione, fare muro contro questa violenza. Il mio fare muro userà ora le parole di un autore che vi rivelerò solo alla fine, e vi stupirete:
"Se non si grida evviva la libertà umilmente, non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà ridendo, non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà con amore, non si grida evviva la libertà.
Voi, figli dei figli, gridate con disprezzo, con rabbia, con odio evviva la libertà.
Perciò voi non gridate evviva la libertà. Questo sappiate, figli dei figli, che gridate evviva la libertà con disprezzo, con rabbia, con odio" (come nella manifestazione antifascista di Macerata, nda)
Pier Paolo Pasolini".
Grazie a tutti!".