Comunicati stampa

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Il Comune di Bologna ricorda Luigi Pedrazzi. L'intervento di Walter Vitali nell'aula del Consiglio comunale

Oggi, a quasi tre mesi dalla sua scomparsa, Luigi Pedrazzi, vicesindaco dal 1995 al 1999, è stato ricordato dal Comune di Bologna nell'aula del Consiglio comunale di Palazzo d'Accursio. Di seguito l'intervento di Walter Vitali, già sind...

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Oggi, a quasi tre mesi dalla sua scomparsa, Luigi Pedrazzi, vicesindaco dal 1995 al 1999, è stato ricordato dal Comune di Bologna nell'aula del Consiglio comunale di Palazzo d'Accursio. Di seguito l'intervento di Walter Vitali, già sindaco di Bologna dal 1993 al 1999.

"Sono grato al Sindaco Virginio Merola, alla Presidente del Consiglio comunale Luisa Guidone e all’Arcivescovo S. E. Mons. Matteo Maria Zuppi per aver voluto questo incontro, e a Giovanni Salizzoni per aver accettato di partecipare. Come abbiamo appena sentito, Luigi Pedrazzi, Gigi per tutti noi, aveva il dono della leggerezza e dell’autoironia. Dirò poi i veri motivi che mi indussero a sceglierlo come Vicesindaco nel 1996, ma prima vorrei far parlare soprattutto lui, con alcune frasi tratte dai suoi innumerevoli scritti.
Nel prepararmi a questa giornata ho imparato molto guardandomi intorno e parlando con persone che gli sono state vicine. Penso sia persino difficile dare un’idea complessiva della sua personalità poliedrica, dai tanti interessi e dalle tante sfaccettature. Non bisogna però farsi ingannare dal suo understatement, come direbbero gli anglosassoni, perché Luigi Pedrazzi è stato senza ombra di dubbio uno degli intellettuali, giornalisti e uomini politici che hanno avuto maggior influenza in Italia a cavallo del secolo breve. Per questo si merita che continui l’approfondimento su di lui e sui temi che erano al centro del suo interesse.
“La cultura e lo studio aiutano, ma non bastano mai. Come in parte fu nel nostro glorioso Risorgimento, è solo l’azione che completa il pensiero e lo porta a influire nella storia, sempre perfettibile nelle sue conseguenze. L’azione politica può e deve verificare i pensieri, la vis polemica contribuisce ad illuderli (Ancora a parlar di scuola, Rivista Il Mulino, n. 1/2009, p. 47)”.
Io lo ricordo così, come uomo di un pensiero costantemente rivolto all’azione, consapevole che “……anche i discorsi, però, sono un fare (L’Ulivocultore bolognese, Il Mulino/Alfa Tape, 1998, p. 41)”. Si spendeva sempre in prima persona, moltiplicava in continuazione imprese e iniziative, come l’ha ben descritto Edmondo Berselli nella presentazione di Sette giorni a Sovere (Il Mulino, 2002, 11).
Queste iniziative erano tutte caratterizzate da una preparazione accurata e meticolosa, preferibilmente di base e meglio ancora se di piccole comunità, che di norma avevano come recapito casa sua. Parto dalle ultime.
Il Vaticano II in rete che iniziò nel 2008, un’impresa gigantesca avviata con 51 amici sparsi in tutta Italia a cinquant’anni dall’elezione di Papa Giovanni XXIII e dall’annuncio della convocazione del Concilio. Ogni mese veniva diffusa una lettera contenente la rievocazione attualizzata di tutte le sue fasi, poi pubblicate in tre volumi fino al 2012.
Il Taxation day nel 2002, per fare dell’Onu un vero organismo di governo mondiale a partire dal pagamento delle tasse, con il versamento diretto di una quota da parte di chi aveva aderito al progetto.
Il Raglio nel 1999, un foglio periodico che dava conto delle discussioni in Consiglio comunale, frutto dell’iniziativa Cittadini in Consiglio presa dopo la sconfitta dell’Ulivo nel ‘99.
Questa Università popolare, corsi di autoformazione politica non partitica a partire dal 1984 che si intitolavano Pensare mondiale, conoscere nazionale, agire locale.
Sono tutti temi di grande attualità, normalmente proposti in anticipo sui tempi. I figli mi hanno detto che arrivava prima degli altri anche nella scelta dei luoghi dove passare le ferie, infatti li portò a Baia Sardinia prima che venisse scoperta dall’Aga Khan.
Tra queste iniziative vi sono anche quelle più famose e di successo, a partire dal Mulino, di cui fu tra i fondatori nel 1951, che salvò con risorse proprie nel 1964, per poi diventare direttore della rivista, presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo e dell’Associazione.
Uno dei più bei riconoscimenti alla storia del Mulino e a Luigi Pedrazzi è venuto da Renato Zangheri nel 2001, in occasione del cinquantesimo anniversario della rivista. Egli si espresse così: “Il bilancio del Mulino è molto positivo….Mi chiedevo cosa facessimo noi, giovani intellettuali di sinistra e comunisti, in quel periodo….Seguivamo una linea diversa che in sostanza era sbagliata….Cosa trattenne noi comunisti dal prendere le distanze definitivamente dal regime sovietico a partire dal ’56, dai fatti d’Ungheria? La convinzione che quel regime fosse riformabile…..C’è un’attualità, una lezione di indipendenza nella storia del Mulino. La ricerca non pregiudicata da apriorismi ideologici, il pluralismo che non diventa ecclettismo, la possibilità di convivenza tra religiosità e laicismo, difficile nell’Italia del tempo. Vi sembra poco? A noi sembrò poco, e sbagliammo (Renato Zangheri, dibattito in occasione della presentazione de Gli inizi del Mulino, a cura di Luigi Pedrazzi, Assindustria Bologna, 30 maggio 2001).
Fu soprattutto grazie a Pedrazzi, insegnante di storia e filosofia nelle scuole superiori, se il Mulino prestò grande attenzione fin dai primi anni ai temi della scuola, della formazione professionale e dell’Università. Diventò un esperto di politiche scolastiche molto ascoltato al Ministero. Firmò l’editoriale della prima rivista mensile del Mulino del novembre 1951, intitolato La scuola senza riforma, che iniziava in questo modo: “La scuola italiana è un istituto gravemente screditato. Essa è condannata dai pedagogisti e dai teorici dell’educazione per i quali è una realtà invecchiata….La scuola non è viva neppure nel cuore egli insegnanti…..ed è malvista dagli studenti, troppo noiosa se confrontata alle altre forme di attività cui essi accedono quotidianamente e dalle quali finiscono per trarre una più efficace formazione; è screditata presso le famiglie che non trovano più nei diplomi e nei certificati un avvio concreto ad una professione”. E’ difficile descrivere con maggior precisione la situazione della scuola di oggi, usando parole scritte quasi settant’anni fa.
Gigi era diventato giornalista occupandosi della rivista del Mulino e nutriva un grande interesse per i problemi dell’editoria. Pochi ricordano che dal 1970 al 1972 fu chiamato a curare il programma in prima serata del secondo canale Rai Boomerang. Ricerca in due sere occupandosi, tra gli altri, di don Lorenzo Milani e Frank Zappa. E Beniamino Andreatta gli fece avere l’incarico di insegnamento in Tecnica del linguaggio televisivo all’Università della Calabria appena costituita.
Nel 1975 insieme a Ermanno Gorrieri diede vita al quotidiano Il Foglio, anche quella un’iniziativa contro la polarizzazione che irrigidiva il mondo dell’informazione regionale nel duopolio tra Il Resto del Carlino e L’Unità. Ebbe contro la parte più conservatrice della Dc la quale, per rubargli spazio, promosse Il nuovo quotidiano diretto da Enzo Tortora uscito per pochi mesi, e il Pci. In un comizio in Piazza Maggiore Giancarlo Pajetta disse: “…il rosso del Foglio non è quello delle nostre bandiere”.
Il giornale ebbe una vita breve e travagliata, ma contribuì alla formazione di una nuova generazione di giornalisti e anticipò, ancora una volta, quello che sarebbe successo poco dopo con La Repubblica e altre iniziative editoriali.
Infine ci sono le due passioni più forti di Gigi, l’impegno religioso e la politica.
Il cristianesimo di Pedrazzi è un cristianesimo vissuto, che trae ispirazione da don Giuseppe Dossetti “…vero secondo padre” (Il mio vissuto eucaristico, Il Mulino Alfa Tape, 1997, p. 44) ed è alimentato da esperienze comunitarie. Ne sono un esempio le settimane della pace di Sovere che si svolgono dall’inizio degli anni ’90 per iniziativa della parrocchia di Sammartini di Crevalcore e di don Giovanni Nicolini. Sulla facciata di quella Chiesa c’è ancora una effigie della Madonna con la scritta “Dono del Sindaco di Bologna”, glielo facemmo insieme Gigi ed io nel 1996 in occasione di una loro visita a Palazzo d’Accursio con un gruppo di profughi della ex Jugoslavia.
L’impegno di Gigi nella Chiesa si può capire meglio seguendo le parole di Dossetti del 1994 rivolte al clero di Pordenone, che lui ha citato spesso: “Non c’è un’età post-cristiana per chi ha fede. C’è un’età che ha un regime mutato……..non ispirato al cristianesimo. Cioè un’età non più di cristianità. Questo sì. E di questo dobbiamo convincerci. La cristianità è finita. E non dobbiamo pensare con nostalgia ad essa, e neppure dobbiamo ad ogni costo darci da fare per salvare qualche rottame della cristianità. Ci vuole una cultura creativa: il cristianesimo forte, non debole, di sempre. E una cultura cristiana animata e cristianamente adeguata alla realtà del progresso delle scienze umane (Il Vangelo nella storia. Conversazioni 1993-1995, Paoline, 2012)”.
Anche in politica Pedrazzi inizia con il Mulino. E’ stato sempre un osservatore attento e acutissimo, per questo fu editorialista di quotidiani nazionali come Il Messaggero e il Mattino. Ha contribuito a promuovere gli studi politici e sociali dell’Istituto Cattaneo che hanno fatto e continuano a fare scuola. Arturo Parisi, che lo ha affiancato per lungo tempo come direttore dell’Istituto, testimonia che il titolo di una ricerca collettiva pubblicata nel 1966 Il bipartitismo imperfetto: comunisti e democristiani in Italia fu di Pedrazzi, ed ebbe grande fortuna anche giornalistica.
Nel 1956 è in Consiglio comunale con Dossetti. Nel 1961 è relatore al convegno del Mulino La politica internazionale degli Stati Uniti e le responsabilità dell’Europa, con la partecipazione di Arthur Schlesinger che porta la benedizione dell’amministrazione Kennedy al nascente centro sinistra.
Sosteneva che l’unità dei cattolici si fa nella Chiesa e non nei partiti. Fu tra i promotori dei Cattolici del No al referendum sul divorzio del 1974 e successivamente della Lega democratica. Bipolarista da sempre, si impegnò molto nel referendum sulla legge elettorale del 1993 promosso da Mario Segni.
Proprio in quell’anno le nostre strade si incontrano. Ero stato da poco eletto Sindaco in Consiglio comunale, in base alla vecchia legge, quando Gigi fu chiamato dal cardinale Giacomo Biffi a coordinare la redazione di Bologna 7 il settimanale dell’Avvenire, sotto lo sguardo attento ma benevolo di monsignor Ernesto Vecchi che lo aveva segnalato per le sue qualità, pur conoscendone l’irrequietezza, una certa tendenza a trasgredire e la assoluta libertà di giudizio.
Sulle pagine di Bologna 7 iniziammo un confronto pubblico sui temi che da sempre avevano diviso di più i nostri due mondi, la scuola e la famiglia. E cominciammo anche noi a far cadere qualche muro. Alla fine del 1994 il Consiglio comunale approvò la prima delibera sul sistema pubblico della scuola dell’infanzia, che prevedeva anche il finanziamento alle scuole autonome convenzionate. E nello stesso periodo fu approvato il pacchetto di misure per le famiglie, completato da un ordine del giorno consiliare del 1997 che auspicava, su un piano diverso, il riconoscimento delle unioni di fatto.
Il portone di Piazza Santo Stefano, dove aveva il suo ufficio, mi divenne familiare. Gli chiesi più volte di entrare in Giunta, ma diceva che i tempi non erano ancora maturi. Lo fece nel 1995, dopo la mia elezione diretta come Vicesindaco senza deleghe. Seguì costantemente i lavori del Consiglio comunale, le iniziative di solidarietà con l’ex Jugoslavia e con la città bosniaca gemellata di Tuzla, la Scuola di Pace di Montesole e la costituzione del Museo Ebraico.
Furono anni belli ma difficili, e per me Gigi è sempre stata una persona cara su cui sapevo di potere contare, alla quale ho voluto bene come a un padre. Ci vedevamo quasi ogni giorno, i suoi giudizi e i suoi consigli non mi sono mai mancati. E anche il conforto di una spalla su cui posare il capo quando le cose si mettevano male.
“Il vento che spira assai forte contro il sindaco Vitali e i suoi assessori (il vice sindaco in particolare avrebbe deluso in Curia) raccoglie due movimenti depressivi (nel Ppi e nel Pds), diversi quanto a idee e origine, ma di fatto convergenti. Entrambi sono abbastanza vasti: se non verranno……realmente contrastati e corretti, l’identità politica di Bologna potrebbe davvero mutare, e quella ulivista non riuscire ad affermarsi (p. 51)”. Lo scrisse nella dispensa del luglio 1998 che insieme alle altre furono pubblicate nell’Ulivicoltore bolognese alla fine dell’anno, prevedendo la sconfitta del ‘99.
Aveva capito perfettamente quello che stava accadendo scrivendo che: “……il sindaco è rimasto il più esposto al desiderio di rimonta dei partiti che si è fatto sentire (dappertutto e non solo a Bologna) nel corso di questo mandato (p. 67)”. E’ esattamente quello che accadde a Roma con la fine del governo di Romano Prodi. Nel 1995 la mia giunta era composta di otto assessori, di cui solo due avevano la tessera di un partito, e la scelta di Pedrazzi come Vicesindaco fu aspramente contrastata nel Pds da chi, già da allora, preferiva una soluzione più partitica.
Uno dei ricordi più belli del suo lavoro da Vicesindaco, come lui stesso lo ha definito, è la preparazione del 23° Congresso eucaristico del 1997, a cui dedica un ricordo gustoso in un articolo del 2005 sul Domani di Bologna: “Il sindaco Vitali…….già nel ’96 mi aveva chiesto di aiutarlo in una preparazione spirituale che lo trovava, lui fin da ragazzo militante comunista, in un deficit di preparazione remota. Le conversazioni con lui e col suo capogabinetto Mauro Felicori, per prepararci bene all’evento, andarono presto oltre le necessità strettamente amministrative…….Dei tre, il più addottrinato su questa problematica ero io……….Ne venne anche la pubblicazione di un volumetto con testo mio e (sua) introduzione (Il mio vissuto eucaristico, Il Mulino, 1997)…..Due fattori oggettivi furono alla base della forte volontà di fare bene. L’ammirazione e l’affetto per la linea complessiva del pontificato di Wojtyla…..e una certa tensione e una non nascosta differenza tra la linea bolognese del cardinal Biffi, attenta all’identità, e la linea più universalistica e ecumenica del pontefice (Resistenza cattolica, Il Mulino, 1996, p. 97)”. Fummo un po’ birichini, e nel mio discorso di accoglienza al Papa in Piazza Maggiore infilammo tutto quello che poteva sottolineare quelle differenze, persino il riconoscimento dei torti subiti da Galileo Galilei che, per la verità, non c’entravano molto.
“Mai si avrà un gigante da abbattere: sempre un mulino da far vivere, ogni giorno, con la sua brava ruota paziente” era scritto nell’editoriale non firmato del primo numero del Mulino che uscì il 25 aprile del 1951.
La ruota di Luigi Pedrazzi ha girato a lungo, fino all’ultimo istante della sua vita, restando sempre fedele a quella idea e producendo sempre buona farina.
Grazie Gigi. Ci manchi. Non ti dimenticheremo".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:39
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