Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, l'intervento del Procuratore Capo Giuseppe Amato
Trasmettiamo l'intervento di Giuseppe Amato, Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, ospite questa mattina della seduta solenne del Consiglio comunale di Bologna in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
“Vi ringrazio veramente per l'invito. Sono qui per esprimere le ragioni principali per cui questo è un incontro a cui valeva la pena di essere. Intanto perché, ne sono convinto, non è un incontro sterile. Conosco l'importanza di questa assise e quindi so che non è un incontro celebrativo di una data che rimane fine a se stessa, ma è un incontro foriero di ulteriori attività positive. La seconda ragione è perché parla chi per mestiere fa repressione, perché sono convinto che quando noi cerchiamo di contrastare un fenomeno, quale esso sia, ne parlavo l'altro giorno a proposito del fenomeno di traffici di sostanze stupefacenti, la repressione è assolutamente insufficiente e non basta, è una battaglia sostanzialmente persa. Quello che noi dobbiamo cercare di fare, e queste occasioni di incontro sono secondo me fondamentali, è, attraverso l'informazione e la cultura, di realizzare quel percorso virtuoso verso la prevenzione, l'unica vera modalità di contrasto rispetto a un fenomeno. Perché la repressione è comunque una sconfitta. Ce lo insegna in questo senso la stessa realtà giudiziaria: quando discutiamo di repressione di reati di femminicidio, partiamo dal contrasto dei maltrattamenti, delle lesioni, delle condotte di atti persecutori, quello che viene chiamato lo stalking. E magari in buona fede ci muoviamo in quella direzione, magari ci muoviamo in quella direzione anche nello specifico caso. In realtà a volte quello specifico caso termina purtroppo con un femminicidio. Questo dimostra che la sola repressione non basta. E' vero, noi abbiamo tanti femminicidi dove le istituzioni sono state latitanti. Abbiamo tanti casi in cui un rimprovero oggettivo a diversi protagonisti dell'intervento non serve e pur tuttavia, in quella sorta di quasi ineliminabile progressione, si arriva all'evento drammatico che è il femminicidio, evento che non è eliminabile, perché come tutte le situazioni umane è comunque imprevedibile, quale che sia lo sforzo che noi possiamo fare. E quindi perché prevenzione: perché solo la prevenzione è la vera risposta. D'altra parte se noi vogliamo contrastare la discriminazione di genere, non è di repressione che dobbiamo parlare ma di prevenzione. La violenza fisica, psicologica, personale, ovviamente merita repressione. Però non solo, e sicuramente la violenza economica, perché tutte queste violenze che ho citato rientrano nel paradigma nelle violenze domestiche: tutte queste violenze impongono interventi in chiave di repressione. E allora in questa prospettiva credo che la vera risposta sia di riuscire a rendere ancora più virtuoso quel collegamento in rete tra i diversi soggetti istituzionali, ciascuno dei quali sicuramente fa il massimo con le risorse a disposizione ovviamente e con gli strumenti che gli sono propri. Ma io sono intimamente convinto, come credo tutti lo siamo, che la risposta sia data attraverso un'operazione matematica per cui la somma di più individui raggiunge un significato sicuramente superiore, proprio da un punto di vista esponenziale, solo la sinergia tra tutti i diversi soggetti può dare quella vera risposta. Mi è stato chiesto: ma c'è necessità di qualche intervento normativo? Io direi assolutamente no. Noi abbiamo in questo contesto storico, e lo abbiamo anche in ambito regionale, perché ho avuto occasione di leggere la legge quadro 6/2014 sulla discriminazione di genere, è una legge assolutamente avanzatissima, così come ho letto il tavolo integrato promosso anche dalla Casa delle Donne. Stiamo manipolando delle situazioni dove non dobbiamo andare a cercare nuove soluzioni, ma dobbiamo semplicemente mettere al miglior risultato quello di cui abbiamo la disponibilità. Penso alle leggi nazionali: la legge 113 del 2013 sul femminicidio credo che sia quanto di meglio possiamo avere, parlo come magistrato ma penso di poter interpretare anche il pensiero delle forze dell'ordine, è quanto di meglio noi possiamo avere. Certo possiamo discutere di una norma o di un'altra ma abbiamo veramente il massimo, come anche qui è opportunamente evocabile la ancora più recente disciplina introdotta nel 2015, con il decreto legislativo 212, che prevede e tutela la vittima vulnerabile quale è la donna o il minore, vittime di violenza in ambito familiare. Abbiamo degli istituti assolutamente duttili. Noi stessi cerchiamo ormai di muoverci applicandoli al meglio. Penso all'ufficio della Procura della Repubblica dove non da adesso ma da anni ci si muove per esempio attraverso la costituzione di gruppi specializzati di magistrati e in questi giorni che stiamo pensando alla riorganizzazione dell'ufficio, uno dei gruppi fondamentali sarà proprio un gruppo adibito specificamente a questi reati per rendere la professionalità del magistrato quanto più possibilmente affinata. La magistratura pur con le difficoltà degli organici, dei carichi di lavoro, tra i criteri di priorità nella definizione dei procedimenti, pone proprio i procedimenti in materia di violenza, i maltrattamenti, lo stalking, le violenze sessuali. Abbiamo a disposizione misure cautelari assolutamente duttili, pensiamo all'allontanamento dalla casa familiare, al divieto di avvicinamento, uno strumentario efficiente che consente di non dare quella risposta un po' bolsa che spesso si ha quando si vede nel carcere l'unica risposta, che non è possibile, non è giusto, non è nemmeno solutivo del problema. Noi quindi abbiamo, e qui proprio in questi reati queste misure vengono valorizzate, abbiamo uno strumentario importante: sono state alzate le pene dello stalking per cui è un reato che ormai consente come per i maltrattamenti le misure cautelari, l'arresto obbligatorio da parte delle forze dell'ordine, abbiamo la possibilità per la polizia giudiziaria di provvedere d'urgenza all'allontanamento del soggetto violento dall'abitazione familiare, questa norma è il 384bis che è assolutamente innovativa. Ma questo, come dicevo, non basta. Rimarremmo nel versante nostro, un po' chiuso, e invece dobbiamo aprirci all'esterno, penso allora per collegarmi con diciamo tutti questi altri soggetti istituzionali, alla difficoltà di questi processi. Noi abbiamo il tema forte, vero, di acquisire non solo la denuncia, ma di acquisire una denuncia che sia attendibile, genuina e di acquisire una denuncia che regga nel corso del procedimento. E che non venga vulnerata dal timore della ritorsione e non venga vulnerata dal senso di abbandono che può colpire una donna in quel momento. E allora in questa prospettiva, perché la rete? Perché è fondamentale il momento in cui viene sentita: oggi le indicazioni in questo senso vengono dalle norme, una persona deve essere sentita con particolari cautele, a volte anche con un esperto, uno psicologo. Ma oltre a questo ci deve essere la possibilità di dare assistenza, parlavamo delle case famiglia, delle case rifugio, perché è dopo, o insieme, o prima, ma soprattutto dopo la presentazione della denuncia che è il momento forse più difficile in cui si cerca di tagliare il cordone ombelicale con quell'ambiente familiare violento che però ti richiama, psicologicamente, ti richiama anche fortemente, per la paura, per il senso di abbandono, per le difficoltà di natura economica. Quindi è fondamentale che non ci si limiti all'atto giudiziario o all'atto di polizia, ma che ci sia quell'apertura per cui quella persona nel momento in cui assume quel momento di coraggio sappia di avere alle spalle qualcuno che la possa in qualche misura fortemente tutelare e proteggere. E nello stesso tempo pensiamo come rispetto a queste situazioni probatorie dei fatti, è importante per esempio che ci sia il coinvolgimento che so che c'è e che ci sarà nel protocollo che auspico arriverà al più presto, penso l'8 marzo, questo sarebbe il nostro auspicio, l'importante contributo dei medici, dell'Azienda sanitaria che tanto già fa. Ma quanto è importante nel momento in cui dobbiamo riscontrare una dichiarazione, avere per esempio la capacità in quel momento topico che è magari l'accesso al pronto soccorso, di avere il riscontro fotografico, il riscontro del referto, riccamente approfondito da parte del sanitario, che è il riscontro di una dichiarazione, che è un referto che magari può portare attraverso l'anamnesi alla valorizzazione di quell'episodio che sarebbe un episodio magari di per se stesso non particolarmente grave, non particolarmente significativo, e lo inserisse in questo contesto attraverso lo strumento dell'informatica e della raccolta dei precedenti, in un contesto dove quindi si potesse valorizzare in un'ottica di investigazione e di repressione quello che non è l'episodio lesivo ma un fatto che si inquadra in un complesso di comportamenti di maltrattamenti. Ancora, dicevo prima di quelle misure cautelari, che certamente sono utili e importanti. Ma qual è la migliore misura cautelare che non ha a oggetto il violento ma a questo punto la vittima: è la possibilità di collocarla in una casa famiglia, in una casa rifugio, in un centro di assistenza, perché a questo punto il rischio di recidiva viene ulteriormente superato e veramente neutralizzato. Ed è assolutamente importante. Pensiamo ancora a quella fase, anche qui ancora da perfezionarsi in tutte le sue potenzialità, quell'obbligo che noi operatori pubblici, i medici, gli organi di polizia, di informare le vittime quando abbiamo occasione di incontrarle. Noi abbiamo predisposto un avviso apposito che riguarda questi reati, ma mi rendo conto che l'avere informazioni non è l'avviso, la scritta, il cartello, ma è il rapporto diretto, di informare queste persone in questi contesti più diversi, dalla polizia, la magistratura, le istituzioni pubbliche in genere, della possibilità di rivolgersi ai centri antiviolenza per avere aiuto e assistenza, con un'informazione che ha anche l'obbligo di mettere in contatto queste persone con i centri antiviolenza. E questa è l'ulteriore riprova che noi non possiamo viaggiare da soli ma dobbiamo essere in grado di collegarci e di rendere queste interconnessioni di istituti realmente fruttuose, positive, per riuscire a raggiungere un risultato. E questo anche per una ragione, che a questo punto prescinde dal rapporto nostro con il destinatario ma che riguarda il rapporto che ci deve essere tra i diversi protagonisti, i diversi soggetti istituzionali. Solo la rete io credo che consenta di conoscerci meglio, superando quello che spesso si verifica, la non consapevolezza della esistenza di altri che compartecipano con te in diversi ruoli per raggiungere un certo risultato, con il rischio del consolidamento di una diffidenza che nasce dalla non conoscenza, e il rischio a volte di ridurre le proprie competenze a un qualche cosa di non realmente utile e non realmente significativo magari per la paura della interlocuzione successiva di altri. Lo vedo e lo dico essendo un po' il terminale della denuncia o di segnalazioni dove a volte percepisco il timore di non fare e il trasferimento frettoloso all'autorità giudiziaria di un fatto che invece meriterebbe un dialogo con la consapevolezza, con la conoscenza piena di quelli che sono i ruoli e le potenzialità di ciascuno, meriterebbe fin da subito un intervento fattivo e quindi la rete io credo che sia, certo a favore della vittima ma è paradossalmente anche a favore nostro, perché consente a tutti noi che ci muoviamo in questa direzione di conoscerci meglio e di perseguire quel risultato che come dicevo non può essere solo repressione ma deve essere inevitabilmente cultura e prevenzione. Diversamente saremmo sempre degli sconfitti. Grazie”.