Comunicati stampa

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Consiglio comunale, seduta solenne Settantesimo anniversario prime elezioni amministrative a suffragio universale. L'intervento della vice presidente del Senato della Repubblica, Valeria Fedeli

Si trasmette il testo dell'intervento della vice presidente del Senato della Repubblica, Valeria Fedeli.

"Autorità, Signore e Signori,è con sincero piacere che sono qui oggi per celebrare insieme a voi il 70° anniversario delle e...

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Si trasmette il testo dell'intervento della vice presidente del Senato della Repubblica, Valeria Fedeli.

"Autorità, Signore e Signori,
è con sincero piacere che sono qui oggi per celebrare insieme a voi il 70° anniversario delle elezioni amministrative a suffragio universale diretto.
Innanzitutto, a nome del Senato, che qui rappresento, e a nome mio personale, saluto e ringrazio di questo invito il Sindaco, Virginio Merola, e la Presidente del Consiglio comunale, Simona Lembi.
Questa celebrazione cade proprio in un anno molto importante per Bologna, l'anno in cui la città festeggia il novecentesimo anniversario dell'istituzione del Comune.
Voglio pensare che non sia un caso, non è una coincidenza di poco conto. Bologna è "la Dotta", Bologna è una delle città più importanti d'Italia e del mondo, per la sua storia e soprattutto per il patrimonio culturale che ha saputo conservare e che ha donato all'umanità.
Bologna ha una storia millenaria, è una culla della cultura mondiale con un vanto ineguagliabile, quello di avere la più antica Università del mondo occidentale, fondata addirittura nel 1088.
Questo perché Bologna è sempre stata proiettata in avanti, ha sempre guardato al futuro, al progresso culturale e sociale dell'uomo e delle donne.
Solo per fare un esempio fu una delle prime, se non la prima in assoluto, ad abolire la schiavitù già nel '200 e a stabilire il riscatto dei servi della gleba dai loro padroni con soldi pubblici e a prezzo di mercato.
Bologna ha sempre avuto e dimostrato un forte senso delle Istituzioni e una reale cultura dei doveri e della dignità del lavoro. Grazie a queste capacità, Bologna è costantemente progredita negli anni ed è diventata una protagonista delle lotte per la libertà e per la pace.
Non può essere dunque un caso se proprio a Bologna si è tenuta la prima esperienza di voto libero e democratico dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda Guerra mondiale.
Quelle del 24 marzo 1946 furono delle elezioni amministrative di enorme valore, per diversi motivi.
Per la città furono le prime elezioni dopo la guerra e dopo l'esperienza comunale fascista. In una città gravemente ferita dal conflitto, i programmi elettorali dei tre partiti di massa, Democrazia Cristiana, Partito Comunista e Partito Socialista, concordavano da un lato sulla necessità e sull'urgenza della ricostruzione e sul ripristino dei servizi pubblici, e dall'altro sull'esigenza di una maggiore autonomia locale, dopo l'esperienza centralista del Ventennio.
Si percepiva la rivendicazione di una riforma dell'ordinamento degli enti locali, segnatamente dei due Testi Unici degli anni '30, nel senso di una espansione delle funzioni municipali. Emersero così i lasciti della Resistenza, in termini di capacità di dialogo e di autonomia, dai Governi, dallo Stato, dalle occupazioni militari. Ne consegue che con queste premesse, e da questa esperienza di voto, avrebbe avuto inizio quel processo di trasformazione dei rappresentanti di partito in amministratori locali, con specifiche competenze e proprie concezioni amministrative e istituzionali.
Ma le elezioni che ricordiamo oggi furono soprattutto le prime elezioni libere, dopo gli anni bui del fascismo, e ancor di più, va sottolineato, le prime che si potessero dire democratiche nel senso pieno del termine.
Per la prima volta, infatti, e nell'imminenza delle elezioni per l'Assemblea Costituente e del Referendum istituzionale, vennero chiamate al voto le donne.
Fu la conclusione naturale e liberatoria di un lungo percorso, iniziato già nel 1861 con la petizione delle donne lombarde, proseguita con i disegni di legge Minghetti e Ricasoli dello stesso anno e poi nel 1863 con la proposta del Ministro Ubaldino Peruzzi di estendere il diritto di voto amministrativo alle donne, proposta che si spense nel dibattito parlamentare e si interruppe col primo conflitto mondiale prima e col fascismo poi. A nulla erano valse le battaglie portate avanti da Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff, Maria Montessori, solo per citarne alcune. Tutte si scontrarono contro il muro del Codice Pisanelli, il Codice civile del 1865, che sanciva attraverso vari istituti, come ad esempio quello dell'autorizzazione maritale alla disposizione di beni, la subordinazione della moglie al marito.
Ma le donne furono poi protagoniste sul campo del movimento di liberazione, e della lotta antifascista per la libertà e l'affermazione dei diritti e delle libertà democratiche, a cominciare da quello alla piena parità, uno degli elementi imprescindibili e fondanti della costituzione di un nuovo Stato libero e democratico.
Grazie a questo loro protagonismo, più che alla tradizione femminista di età liberale, come ha rilevato Anna Rossi Doria, si è così potuti arrivare al decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n. 23, recante “Estensione alle donne del diritto di voto”, che ha riconosciuto finalmente il diritto di voto attivo alle donne. Una conquista ottenuta con grave ritardo rispetto ad altri Paesi: in Nuova Zelanda le donne votavano sin dal 1893, in Canada dal 1917, in Gran Bretagna dal 1918 e in Germania dal 1919; prima dell’Italia avevano riconosciuto questo diritto, fra gli altri Paesi, anche Turchia, Mongolia, Filippine, Cuba e Thailandia.
L’elettorato passivo delle donne venne invece riconosciuto un anno dopo, solo pochi giorni prima delle elezioni amministrative di Bologna, con il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, recante “Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea costituente”, il quale sancì definitivamente il principio dell’uguaglianza tra i sessi per l’esercizio dei diritti politici.
Con il voto amministrativo al Comune di Bologna del 24 marzo 1946, dunque, il principio trovò applicazione concreta per la prima volta. Quelle elezioni, per l'ente locale più vicino ai cittadini che è il comune, divennero giocoforza un banco di prova in vista delle future elezioni dell'Assemblea costituente.
Le elettrici risposero con grande entusiasmo, partecipando in massa al voto, con un'adesione che superò addirittura l'89%, e spazzando via le paure che serpeggiavano nei gruppi dirigenti dei partiti di massa. Tina Anselmi ricordò che addirittura le donne votanti furono superiori agli uomini. Per le donne volle dire agire da protagoniste, dimostrarsi pari ma anche diverse dagli uomini, sentirsi cittadine. Eppure come accadde al momento dell'emanazione del decreto, passato quasi in sordina sui giornali, così anche l'esito straordinario di questo voto venne in un certo qual modo sottodimensionato dai commentatori.
Le successive elezioni del 2 giugno portarono all'Assemblea costituente 21 parlamentari, le “Madri costituenti”: 9 erano comuniste, 9 democristiane, 2 socialiste e una era stata eletta tra i candidati dell’Uomo Qualunque. Erano quasi tutte laureate, giovani, e molte di loro avevano preso parte alla Resistenza. A tal proposito ho presentato proprio di recente una mozione in Senato che impegna il governo a promuovere per il 2016 iniziative per conoscerle, studiarle e ricordarne l'impegno.
5 di loro entrarono nella “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea costituente di scrivere la Carta costituzionale: Angela Gotelli, Maria Federici, Nilde Iotti, Angelina Merlin e Teresa Noce. Dovettero passare ancora più di trent’anni per poter vedere una donna, si trattò proprio di Nilde Iotti, occupare una delle cinque più alte cariche dello Stato, quella di Presidente della Camera dei deputati, per tre legislature, dal 1979 al 1992.
Far parte della “Commissione dei 75” fu comunque per le donne la grande occasione di poter sostenere, non solo le istanze del partito nelle cui liste erano state elette, come accadeva per gli uomini, ma anche le istanze femminili per cambiare finalmente in meglio la condizione delle donne. Contribuirono così in modo determinante a scrivere gli articoli più moderni e di principio della Costituzione, tra cui gli articoli 3, 29, 31, 37, 48 e 51.
Da allora iniziò per le donne un lungo percorso di riconoscimento di diritti e di autonomia che negli anni ha visto approvare leggi di fondamentale importanza come quella del 1950 sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri; la legge Merlin del 1958, primo esempio di mobilitazione parlamentare trasversale; la legge sul divorzio del 1970, la riforma del diritto di famiglia del 1975, che garantì finalmente la parità tra i coniugi e la comunione dei beni; cito pure la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, del 1977 e la legge sull’interruzione di gravidanza del 1978, oltre all’accordo interconfederale per la parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici del 1960.
Tuttavia, fino al 1968 erano ancora poche le parlamentari donne, addirittura solo 27 tra Camera e Senato nella V legislatura.
Nonostante in seguito il numero sia andato ad aumentare, ci si rese conto in tempi più recenti che per raggiungere l’uguaglianza nella rappresentanza politica era necessario intervenire nuovamente a livello normativo. La svolta si ebbe dopo che la Corte costituzionale, la quale aveva ritenuto illegittime le "quote elettorali" con la sentenza n. 422 del 1995, ebbe più che mutato, direi evoluto il suo orientamento con la sentenza n. 49 del 2003, riconoscendo la legittimità delle norme della Regione Val d'Aosta che imponevano candidati di entrambi i sessi nelle liste elettorali, e quindi anche ammettendo di fatto la legittimità di norme che favoriscono, senza imporla, la parità effettiva tra uomini e donne nell'accesso alla rappresentanza elettiva.
Fu così approvata la legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, che ha modificato l’articolo 51 della Costituzione aggiungendo il periodo “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Con questa legge si è compiuto un decisivo passo in avanti verso il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale, e la rimozione degli ostacoli che non consentono alle donne l’accesso alle cariche elettive.
Sulla stessa falsariga l’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, modificato nel 2001, stabilisce che anche le leggi regionali devono promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Più recentemente la "doppia preferenza di genere”, introdotta a livello regionale dalla Campania ha superato il vaglio di costituzionalità nel 2010 (sentenza n.4) in quanto ispirata "al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale" ancora "non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale”.
Per limitarmi alle norme in materia di rappresentatività negli organi elettivi la legge 23 novembre 2012, n. 215, ha previsto, per l’elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, la cosiddetta “quota di lista” per cui nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi, e l’introduzione della cosiddetta “doppia preferenza di genere”, che consente all’elettore di esprimere due preferenze (anziché una, come previsto dalla normativa previgente) purché riguardanti candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza, restando comunque ferma la possibilità di esprimere una singola preferenza.
La modifica alla legge elettorale europea del 2014 ha previsto dal 2019, la cosiddetta “tripla preferenza di genere”: le preferenze devono infatti riguardare candidati di sesso diverso sia nel caso di due preferenze sia in quello di tre preferenze. Nel caso di più preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda e della terza preferenza.
Ora l'Italicum (Legge 6 maggio 2015, n. 52), oltre alla doppia preferenza di genere, ha previsto per le elezioni della Camera dei deputati che nella successione interna delle singole liste nei collegi plurinominali i candidati siano collocati in lista, secondo un ordine alternato di genere, e che a pena di inammissibilità della lista, nel numero complessivo dei candidati capolista nei collegi di ogni circoscrizione non possa esservi più del 60 per cento di candidati dello stesso sesso.
Similmente, anche nei consigli regionali ora l'equilibrio di genere nella rappresentanza viene garantito dalla recente legge 15 febbraio 2016, n. 20, che prevede la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive mediante la doppia preferenza di genere, ove sia prevista l’espressione di preferenze; l’alternanza tra candidati di sesso diverso, ove siano previste liste senza espressione di preferenze, e l’equilibrio tra candidature presentate con il medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale, in caso di collegi uninominali.
Infine anche la proposta di riforma costituzionale che andrà al referendum prevede la modifica dell’articolo 55 della carta fondamentale nel senso che “Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”;
Chiarito il quadro normativo, resta il triste dato del 2014 del Global Gender Gap, stilato annualmente dal “World Economic Forum”, che colloca l’Italia al 69° posto su 142 Paesi, nonostante ci sia stato un significativo aumento del numero delle donne in Parlamento (dal 22 per cento nel 2012 al 31 per cento nel 2013);
Oggi sono il 30% del Parlamento e contribuiscono a renderlo anagraficamente più giovane. A livello di amministrazioni locali invece le donne sindaco sono ancora poche, e nei Comuni oltre i 15 mila abitanti arrivano appena al 10%.
C'è ancora quindi tanto da fare per avvicinarci ad una parità effettiva nella rappresentatività. Le premesse sono incoraggianti, i numeri possono crescere allo stesso modo di come è avvenuto per il Governo, dove la metà dei Ministri è donna.
Il legislatore, sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, ha messo le basi per il raggiungimento dell'equilibrio di genere. Ora serve l'impegno di tutti perché ciò si realizzi compiutamente. Le donne sono state le protagoniste di questa battaglia. Ora tutti dobbiamo far sì che il sogno si realizzi nei fatti.
Mi auguro che questa celebrazione quindi sia un'occasione preziosa di riflessione e di stimolo per far sì che quanto fatto dalle "Madri costituenti" perché si compisse l'idea repubblicana di uno stato democratico, trovi ora la definitiva consacrazione.
Grazie e buon lavoro.".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:33
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