GIORNO DELLA MEMORIA, INTERVENTO DI ARRIGO BOMPANI, EX MILITARE INTERNATO NEI LAGER NAZISTI, IN OCCASIONE DEI CONSIGLI COMUNALE E PROVINCIALE CONGIUNTI
Si trasmette discorso di Arrigo Bompani, ex militare internato nei lager nazisti, tenuto oggi nel corso della seduta congiunta dei Consigli comunale e provinciale in occasione del "Giorno della Memoria".
"Ho l’onore oggi 27 ge...
Data:
:
Si trasmette discorso di Arrigo Bompani, ex militare internato nei lager nazisti, tenuto oggi nel corso della seduta congiunta dei Consigli comunale e provinciale in occasione del "Giorno della Memoria".
"Ho l’onore oggi 27 gennaio 2012,dodicesimo anniversario della “ Giornata della Memoria” di commemorare i miei compagni caduti nei lager nazisti, in questa bellissima sala alla presenza delle Autorità civili e militari di Bologna e Provincia, ai Consigli Comunale e Provinciale riuniti in seduta plenaria, a voi ragazzi, e ai tanti cittadini bolognesi qui convenuti. L’8 settembre 1943 segnò per l’Italia oltre l’epilogo doloroso della guerra fascista anche lo sfacelo di uno Stato incapace di reggere, con le sue strutture inadeguate, l’urto di un conflitto che durava da oltre tre anni e che aveva dato, come unici frutti, solo lutti, macerie e la perdita di un terzo del territorio nazionale conquistato dalle forze alleate.
Alle ore 19,42 di detto giorno l’allora Capo del Governo Maresciallo Badoglio lesse, via radio. il seguente messaggio:
Il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhovwer, Comandante in Capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane, in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienti. Nella stessa notte fece seguito un secondo radio messaggio più sibillino del primo che 'Proibiva atti ostili verso i tedeschi, se non da questi provocati'. Dopo questo ordine il Re, il Capo del Governo ed i vertici delle Forze Armate italiane si rifugiarono a Brindisi, abbandonando così gli ufficiali e i soldati proprio nel momento peggiore della crisi: il che, in genere, è giudicato tradimento. I tedeschi, agevolati anche dalla nostra forzata immobilità, iniziarono il disarmo delle forze armate italiane ed il loro dirottamento nei lager, rimanendo così padroni assoluti dell’Italia centrale e settentrionale. Il 23 settembre Mussolini costituì la Repubblica Sociale Italiana con sede del Governo a Salò. Raggiungemmo il lager la sera del 14 settembre. Il solo cancello principale era illuminato mentre il resto del campo era nel buio più profondo e ciò in contrasto con le norme del trattato internazionale del 1929 che obbligava l’illuminazione dei campi di concentramento per evitare errori nei bombardamenti aerei e quant’altro. Il lager contraddistinto dalla sigla XB è ubicato nella Bassa Sassonia località Sandbostel, lager enorme che poteva ospitare circa 100.000 prigionieri. Il lager è un luogo creato appositamente per annullare la personalità dell’uomo, deprimerne lo spirito con tutta una serie di imposizioni illegali e di sistematici crescenti maltrattamenti che, in sintesi, si prefiggono di rendere arrendevole il prigioniero.
Attendemmo all’aperto nel precampo sotto una pioggerella continua e fastidiosa in attesa il nostro turno per la inevitabile perquisizione personale, perquisizione che si tramutò in un vero furto.
Entrati nella baracca ci ordinarono di spogliarci e posare indumenti, zaino, scarpe sul bancone che ci divideva dalle guardie per dare loro la possibilità di frugare nelle tasche della divisa, nello zaino o borsa o tascapane, per appropriarsi di tutto ciò che faceva loro gola anche una semplice limetta per unghie. Sequestrarono anelli, collane, gioielli che posero in una apposita busta intestata al proprietario con la promessa verbale che il tutto sarebbe stato restituito alla fine della guerra.
Fui privato dell’unica cosa che fece gola una bussola militare. Mi rivestii in fretta per essere accompagnato nella baracca che mi avrebbe ospitato. Il vociare osceno che mi accolse entrando nella baracca mi risvegliò dal torpore nel quale ero caduto con lo sfacelo dello Stato e la mia cattura.
La convivenza di 200 persone chiuse in uno spazio ristretto, prive di comodità diventò un problema, un nonnulla bastava per accendere discussioni che rasentavano il litigio: il tutto completato da urla, oscenità, anche bestemmie. Prospettammo ai colleghi esagitati che i loro litigi si potevano risolvere discutendo con calma e serenità e che era importante dosare le proprie forze per cercare di arrivare vivi alla fine della guerra. Di notte per accedere alla latrina posta a 50 metri dalla baracca si doveva aprire la porta e urlare “abort”, per evitare di essere fucilati.
Giovannino Guareschi a pag. XIII nel “Diario clandestino” scrive: 'Ognuno si trovò improvvisamente nudo: tutto fu lasciato fuori del reticolato: la fama e il grado, bene o male guadagnati. E ognuno si trovò soltanto con le cose che aveva dentro. Con la sua effettiva ricchezza o con la sua effettiva povertà. E ognuno diede quello che aveva dentro e che poteva dare'.
La propaganda per il nostro reclutamento ebbe inizio fin dal mattino seguente. Dopo l’appello mattutino, dovemmo sorbirci un discorso tenuto da un tedesco, che in un italiano incomprensibile cercava di persuaderci a collaborare con loro o lavorando o arruolandoci nel loro esercito, ove avremmo mantenuto il grado che avevamo e promettendoci anche l’immediato rientro in Italia. Così ebbe inizio la nostra resistenza.
Dai primi di ottobre, a questo compito, i tedeschi furono sostituiti da ufficiali della Repubblica Sociale Italiana, ma essendo essi stessi poco convinti della riuscita della loro missione, l’effetto fu nullo. Il 20 Settembre Hitler, motu proprio, ci privò della identità di prigionieri per applicarci quella di internati.
Necessita chiarire la differenza abissale fra prigioniero e internato. Il prigioniero di guerra secondo le convenzioni internazionali di Ginevra, firmate anche dalla Germania, ha diritto, tra l’altro, di essere appoggiato oltre che dalla Croce Rossa Nazionale dei prigionieri anche da quella Internazionale con Sede a Ginevra mediante l’invio di viveri di conforto, medicinali, vestiario e quant’altro, oltre ad avere visite di controllo periodiche di rappresentanti degli Enti predetti che dovevano accertare che le convenzioni di cui sopra fossero messe in atto.
L’internato, viceversa, non essendo voce prevista dal Codice internazionale, non aveva diritto ad alcun appoggio del genere, per cui anche quando con l’accentuarsi dei disagi, delle malattie e dei decessi, la Croce Rossa Internazionale tentò di intervenire in nostro favore fu opposto un netto rifiuto da parte del Reich e della R.S.I., ma soprattutto della Croce Rossa Repubblicana Italiana.
Il 9 ottobre una gran parte di noi fu caricata su carri bestiame che si diresse verso est. Nell’attraversare Berlino la nostra tradotta fu bloccata in una delle tante stazioni che fanno corona alla città, per incursione aerea.
Fu un bombardamento terribile: le bombe cadendo provocavano spostamenti d’aria che sballottavano i carri. Fummo assaliti dal temore di diventare il loro bersaglio.
Raggiungemmo il nuovo lager,che con il nostro arrivo venne poi distinto come Oflag 73, posto a Benjaminowo (nord-est di Varsavia) nella sera del 13 ottobre. Spenta la luce cessò ogni rumore, per cui potemmo dormire tranquillamente nella nostra cuccia. Ciò ci fece sperare in una prigionia umana e vivibile. Purtroppo due giorni dopo fu ripresa con maggiore insistenza la propaganda da ufficiali italiani transfuga; inoltre venimmo a conoscenza che una epidemia di tifo petecchiale aveva provocato il decesso di tutti i soldati russi che occupavano allora il lager gli ultimi dei quali erano stati seppelliti 20 giorni prima del nostro arrivo. Ci fecero occupare i loro letti ancora caldi e che abbandonammo verso la fine del mese di febbraio 1944. Addio umanità. La sporcizia regnava sovrana in ogni angolo, mancava persino l’acqua potabile che venne sostituita da una tisana di tiglio, privi di sapone. Mancavano le medicine, ma esisteva l’infermeria, che di luogo di cura aveva solo la targa esterna. Per la visita si doveva attendere il proprio turno all’aperto anche in caso di pioggia o neve. La qualifica di internati trasformò l’appello mattutino e serale in conta come fossimo animali, conta che diventò mezzo di violenza fisica in quanto se effettuata in giornate di sole si esauriva in pochi minuti mentre occorreva oltre un’ora con la pioggia, la neve o con un freddo polare, che in quell’inverno raggiunse picchi di 25° sottozero.
Queste continue angherie e sofferenze ebbero uno strano effetto: la semplice conoscenza si trasformò in amicizia con l’A maiuscola, che ci aiutò a fare muro contro ogni sopruso. Un amico scrisse: “ IL FIORE PIU’ RARO NASCE NEL DESERTO, L’AMICIZIA NASCE NEL DOLORE.” L’amore è il sentimento più alto che possa albergare nell’animo dell’uomo perché dono di Dio, per cui anche l’amicizia con l’A maiuscola non può essere sorella dell’amore, ma cugina di primo grado sì.
Con il conforto di questa Amicizia trascorremmo il Natale sereni ed arrivammo all’ 8 gennaio 1944, quando nel piazzale del campo, dopo la conta mattutina, salì sul podio un Ten. Col. degli Alpini che invece di illustrarci brevemente i motivi per i quali era venuto si dilungava a decantare la R.S.I. per gli sforzi intesi al miglioramento della situazione alimentare interna e per portare aiuto a noi e alle nostre famiglie. Stanchi di stare in piedi al freddo e insofferenti di udire solo chiacchiere cominciammo a defilarci per entrare in baracca. Accortosi della fuga lesse la seguente adesione alla R.S.I. <Aderisco all’idea repubblicana dell’Italia repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il comando supremo tedesco, contro il comune nemico dell’Italia repubblicana fascista del Duce e del grande Reich>. Ci furono concessi due giorni di riflessione per decidere.
Sentii come se una mano gelida mi stringesse il cuore: rimasi senza fiato. Un silenzio anomalo avvolse il lager: in fretta entrammo nella baracca per meditare e consultarci. La scelta era difficilissima. Con il “SI” dopo pochi giorni si potevano abbracciare i propri cari, ma con il “NO” si doveva continuare a combattere una guerra impari e a mani nude armati solo della propria fierezza di essere un soldato italiano consapevole di riscattare in quel modo l’onta dell’8 settembre. Avremmo resistito fino alla fine della guerra? L’importante era non venire meno al giuramento di fedeltà alla Patria. Solo Dio ci poteva salvare la vita.
I 2.500 ufficiali e 200 soldati che quattro mesi prima erano giunti in quel lager ancora sufficientemente in forma, quel mattino del 10 gennaio erano irriconoscibili per gli effetti della cura dimagrante, delle angherie, del freddo intenso e per i patimenti continui subiti. I tedeschi pregustavano la gioia della vittoria ottenuta con la fame e i patimenti inferti a dei poveri esseri inermi. Ogni internato doveva presentare ad un ufficiale tedesco il foglietto che ci era stato distribuito in baracca: se era firmato il collega veniva preso in consegna ad un ufficiale, se il foglietto era senza firma il collega ritornava al suo vecchio posto. Alla fine circa un terzo degli ufficiali aveva aderito; per noi fu un numero assai alto di adesioni, per i nostri custodi fu una sconfitta totale. La media delle adesioni di tutti i campi oscillò fra il 5 e 6%. Il nostro “NO” silenzioso si trasformò in un boato talmente fragoroso da frastornare e stordire sia i grandi capi che tutto il popolo tedesco che furono costretti a considerarci non più dei pusillanimi facilmente domesticabili, ma come veri combattenti e a rivedere i loro piani per soggiogarci al loro volore.
Infatti con la nostra resistenza passiva cooperammo a quella resistenza e a quella lotta che restituì la libertà a l'unità alla nostra amatissima Patria. Viva l'Italia. Arrigo Bompani matricola 4938"
"Ho l’onore oggi 27 gennaio 2012,dodicesimo anniversario della “ Giornata della Memoria” di commemorare i miei compagni caduti nei lager nazisti, in questa bellissima sala alla presenza delle Autorità civili e militari di Bologna e Provincia, ai Consigli Comunale e Provinciale riuniti in seduta plenaria, a voi ragazzi, e ai tanti cittadini bolognesi qui convenuti. L’8 settembre 1943 segnò per l’Italia oltre l’epilogo doloroso della guerra fascista anche lo sfacelo di uno Stato incapace di reggere, con le sue strutture inadeguate, l’urto di un conflitto che durava da oltre tre anni e che aveva dato, come unici frutti, solo lutti, macerie e la perdita di un terzo del territorio nazionale conquistato dalle forze alleate.
Alle ore 19,42 di detto giorno l’allora Capo del Governo Maresciallo Badoglio lesse, via radio. il seguente messaggio:
Il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhovwer, Comandante in Capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane, in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienti. Nella stessa notte fece seguito un secondo radio messaggio più sibillino del primo che 'Proibiva atti ostili verso i tedeschi, se non da questi provocati'. Dopo questo ordine il Re, il Capo del Governo ed i vertici delle Forze Armate italiane si rifugiarono a Brindisi, abbandonando così gli ufficiali e i soldati proprio nel momento peggiore della crisi: il che, in genere, è giudicato tradimento. I tedeschi, agevolati anche dalla nostra forzata immobilità, iniziarono il disarmo delle forze armate italiane ed il loro dirottamento nei lager, rimanendo così padroni assoluti dell’Italia centrale e settentrionale. Il 23 settembre Mussolini costituì la Repubblica Sociale Italiana con sede del Governo a Salò. Raggiungemmo il lager la sera del 14 settembre. Il solo cancello principale era illuminato mentre il resto del campo era nel buio più profondo e ciò in contrasto con le norme del trattato internazionale del 1929 che obbligava l’illuminazione dei campi di concentramento per evitare errori nei bombardamenti aerei e quant’altro. Il lager contraddistinto dalla sigla XB è ubicato nella Bassa Sassonia località Sandbostel, lager enorme che poteva ospitare circa 100.000 prigionieri. Il lager è un luogo creato appositamente per annullare la personalità dell’uomo, deprimerne lo spirito con tutta una serie di imposizioni illegali e di sistematici crescenti maltrattamenti che, in sintesi, si prefiggono di rendere arrendevole il prigioniero.
Attendemmo all’aperto nel precampo sotto una pioggerella continua e fastidiosa in attesa il nostro turno per la inevitabile perquisizione personale, perquisizione che si tramutò in un vero furto.
Entrati nella baracca ci ordinarono di spogliarci e posare indumenti, zaino, scarpe sul bancone che ci divideva dalle guardie per dare loro la possibilità di frugare nelle tasche della divisa, nello zaino o borsa o tascapane, per appropriarsi di tutto ciò che faceva loro gola anche una semplice limetta per unghie. Sequestrarono anelli, collane, gioielli che posero in una apposita busta intestata al proprietario con la promessa verbale che il tutto sarebbe stato restituito alla fine della guerra.
Fui privato dell’unica cosa che fece gola una bussola militare. Mi rivestii in fretta per essere accompagnato nella baracca che mi avrebbe ospitato. Il vociare osceno che mi accolse entrando nella baracca mi risvegliò dal torpore nel quale ero caduto con lo sfacelo dello Stato e la mia cattura.
La convivenza di 200 persone chiuse in uno spazio ristretto, prive di comodità diventò un problema, un nonnulla bastava per accendere discussioni che rasentavano il litigio: il tutto completato da urla, oscenità, anche bestemmie. Prospettammo ai colleghi esagitati che i loro litigi si potevano risolvere discutendo con calma e serenità e che era importante dosare le proprie forze per cercare di arrivare vivi alla fine della guerra. Di notte per accedere alla latrina posta a 50 metri dalla baracca si doveva aprire la porta e urlare “abort”, per evitare di essere fucilati.
Giovannino Guareschi a pag. XIII nel “Diario clandestino” scrive: 'Ognuno si trovò improvvisamente nudo: tutto fu lasciato fuori del reticolato: la fama e il grado, bene o male guadagnati. E ognuno si trovò soltanto con le cose che aveva dentro. Con la sua effettiva ricchezza o con la sua effettiva povertà. E ognuno diede quello che aveva dentro e che poteva dare'.
La propaganda per il nostro reclutamento ebbe inizio fin dal mattino seguente. Dopo l’appello mattutino, dovemmo sorbirci un discorso tenuto da un tedesco, che in un italiano incomprensibile cercava di persuaderci a collaborare con loro o lavorando o arruolandoci nel loro esercito, ove avremmo mantenuto il grado che avevamo e promettendoci anche l’immediato rientro in Italia. Così ebbe inizio la nostra resistenza.
Dai primi di ottobre, a questo compito, i tedeschi furono sostituiti da ufficiali della Repubblica Sociale Italiana, ma essendo essi stessi poco convinti della riuscita della loro missione, l’effetto fu nullo. Il 20 Settembre Hitler, motu proprio, ci privò della identità di prigionieri per applicarci quella di internati.
Necessita chiarire la differenza abissale fra prigioniero e internato. Il prigioniero di guerra secondo le convenzioni internazionali di Ginevra, firmate anche dalla Germania, ha diritto, tra l’altro, di essere appoggiato oltre che dalla Croce Rossa Nazionale dei prigionieri anche da quella Internazionale con Sede a Ginevra mediante l’invio di viveri di conforto, medicinali, vestiario e quant’altro, oltre ad avere visite di controllo periodiche di rappresentanti degli Enti predetti che dovevano accertare che le convenzioni di cui sopra fossero messe in atto.
L’internato, viceversa, non essendo voce prevista dal Codice internazionale, non aveva diritto ad alcun appoggio del genere, per cui anche quando con l’accentuarsi dei disagi, delle malattie e dei decessi, la Croce Rossa Internazionale tentò di intervenire in nostro favore fu opposto un netto rifiuto da parte del Reich e della R.S.I., ma soprattutto della Croce Rossa Repubblicana Italiana.
Il 9 ottobre una gran parte di noi fu caricata su carri bestiame che si diresse verso est. Nell’attraversare Berlino la nostra tradotta fu bloccata in una delle tante stazioni che fanno corona alla città, per incursione aerea.
Fu un bombardamento terribile: le bombe cadendo provocavano spostamenti d’aria che sballottavano i carri. Fummo assaliti dal temore di diventare il loro bersaglio.
Raggiungemmo il nuovo lager,che con il nostro arrivo venne poi distinto come Oflag 73, posto a Benjaminowo (nord-est di Varsavia) nella sera del 13 ottobre. Spenta la luce cessò ogni rumore, per cui potemmo dormire tranquillamente nella nostra cuccia. Ciò ci fece sperare in una prigionia umana e vivibile. Purtroppo due giorni dopo fu ripresa con maggiore insistenza la propaganda da ufficiali italiani transfuga; inoltre venimmo a conoscenza che una epidemia di tifo petecchiale aveva provocato il decesso di tutti i soldati russi che occupavano allora il lager gli ultimi dei quali erano stati seppelliti 20 giorni prima del nostro arrivo. Ci fecero occupare i loro letti ancora caldi e che abbandonammo verso la fine del mese di febbraio 1944. Addio umanità. La sporcizia regnava sovrana in ogni angolo, mancava persino l’acqua potabile che venne sostituita da una tisana di tiglio, privi di sapone. Mancavano le medicine, ma esisteva l’infermeria, che di luogo di cura aveva solo la targa esterna. Per la visita si doveva attendere il proprio turno all’aperto anche in caso di pioggia o neve. La qualifica di internati trasformò l’appello mattutino e serale in conta come fossimo animali, conta che diventò mezzo di violenza fisica in quanto se effettuata in giornate di sole si esauriva in pochi minuti mentre occorreva oltre un’ora con la pioggia, la neve o con un freddo polare, che in quell’inverno raggiunse picchi di 25° sottozero.
Queste continue angherie e sofferenze ebbero uno strano effetto: la semplice conoscenza si trasformò in amicizia con l’A maiuscola, che ci aiutò a fare muro contro ogni sopruso. Un amico scrisse: “ IL FIORE PIU’ RARO NASCE NEL DESERTO, L’AMICIZIA NASCE NEL DOLORE.” L’amore è il sentimento più alto che possa albergare nell’animo dell’uomo perché dono di Dio, per cui anche l’amicizia con l’A maiuscola non può essere sorella dell’amore, ma cugina di primo grado sì.
Con il conforto di questa Amicizia trascorremmo il Natale sereni ed arrivammo all’ 8 gennaio 1944, quando nel piazzale del campo, dopo la conta mattutina, salì sul podio un Ten. Col. degli Alpini che invece di illustrarci brevemente i motivi per i quali era venuto si dilungava a decantare la R.S.I. per gli sforzi intesi al miglioramento della situazione alimentare interna e per portare aiuto a noi e alle nostre famiglie. Stanchi di stare in piedi al freddo e insofferenti di udire solo chiacchiere cominciammo a defilarci per entrare in baracca. Accortosi della fuga lesse la seguente adesione alla R.S.I. <Aderisco all’idea repubblicana dell’Italia repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il comando supremo tedesco, contro il comune nemico dell’Italia repubblicana fascista del Duce e del grande Reich>. Ci furono concessi due giorni di riflessione per decidere.
Sentii come se una mano gelida mi stringesse il cuore: rimasi senza fiato. Un silenzio anomalo avvolse il lager: in fretta entrammo nella baracca per meditare e consultarci. La scelta era difficilissima. Con il “SI” dopo pochi giorni si potevano abbracciare i propri cari, ma con il “NO” si doveva continuare a combattere una guerra impari e a mani nude armati solo della propria fierezza di essere un soldato italiano consapevole di riscattare in quel modo l’onta dell’8 settembre. Avremmo resistito fino alla fine della guerra? L’importante era non venire meno al giuramento di fedeltà alla Patria. Solo Dio ci poteva salvare la vita.
I 2.500 ufficiali e 200 soldati che quattro mesi prima erano giunti in quel lager ancora sufficientemente in forma, quel mattino del 10 gennaio erano irriconoscibili per gli effetti della cura dimagrante, delle angherie, del freddo intenso e per i patimenti continui subiti. I tedeschi pregustavano la gioia della vittoria ottenuta con la fame e i patimenti inferti a dei poveri esseri inermi. Ogni internato doveva presentare ad un ufficiale tedesco il foglietto che ci era stato distribuito in baracca: se era firmato il collega veniva preso in consegna ad un ufficiale, se il foglietto era senza firma il collega ritornava al suo vecchio posto. Alla fine circa un terzo degli ufficiali aveva aderito; per noi fu un numero assai alto di adesioni, per i nostri custodi fu una sconfitta totale. La media delle adesioni di tutti i campi oscillò fra il 5 e 6%. Il nostro “NO” silenzioso si trasformò in un boato talmente fragoroso da frastornare e stordire sia i grandi capi che tutto il popolo tedesco che furono costretti a considerarci non più dei pusillanimi facilmente domesticabili, ma come veri combattenti e a rivedere i loro piani per soggiogarci al loro volore.
Infatti con la nostra resistenza passiva cooperammo a quella resistenza e a quella lotta che restituì la libertà a l'unità alla nostra amatissima Patria. Viva l'Italia. Arrigo Bompani matricola 4938"