CONSIGLIO COMUNALE, INTERVENTO D'INIZIO SEDUTA DELLA CONSIGLIERA CATHY LA TORRE (AMELIA PER BO) SUI CENTRI D'IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE
Di seguito il testo dell'intervento d'inizio seduta della consigliera Cathy La Torre (Amelia per Bo) sui Centri di Identificazione e Espulsione.
"Da quando ho assunto la carica di consigliere comunale questo è il terzo intervento che svolgo ...
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Di seguito il testo dell'intervento d'inizio seduta della consigliera Cathy La Torre (Amelia per Bo) sui Centri di Identificazione e Espulsione.
"Da quando ho assunto la carica di consigliere comunale questo è il terzo intervento che svolgo per l'esigenza di portare all'attenzione di quest'aula e della città ciò che succede dietro le mura dei Centri di Identificazione ed Espulsione.
Negli interventi precedenti segnalavo due casi venuti alla luce grazie all'interessamento di associazioni e gruppi di cittadini.
Due casi di ingiuste detenzioni presso i Cie di Bologna e Modena.
A Novembre Adama: vessata a e ricattata dal compagno, quando ha trovato il coraggio di denunciare le violenze subite, invece di ricevere protezione, è stata rinchiusa presso il Cie di Bologna.
Poche settimane fa: Andrea e Senad, genitori bosniaci, nati e cresciuti a Sassuolo, disoccupati, come moltissimi giovani italiani, ma senza cittadinanza. Dunque rinchiusi presso il Cie di Modena.
Adama, Andrea e Senad oggi sono liberi.
Adama ha trovato la giusta attenzione e l'assistenza che merita una donna che ha subito violenza.
La liberazione di Andrea e Senad è avvenuta grazie ad un'importantissima sentenza con la quale il Giudice di Pace di Modena ha disposto il loro rilascio stabilendo un principio elementare e fondamentale: chi nasce in Italia non può essere considerato straniero.
L'attenzione della società civile, delle associazioni, dei giornalisti ha permesso che queste storie non si perdessero nel silenzio, non si consumassero inascoltate all’ombra delle mura dei CIE.
Ma quante storie simili a quella di Adama, Andrea e Senad hanno avuto luogo all'interno dei CIE italiani senza trovare ascolto?
In questi luoghi, normalmente opachi e inaccessibili, non qualificati come carceri, ma all'interno dei quali le persone sono private della libertà personale per un periodo di tempo che può raggiungere i 18 mesi, i diritti subiscono una sorta di sospensione.
Colleghi vorrei dirvi oggi che di questi luoghi dimenticati bisognerebbe parlare tutti i giorni: la cronaca riporta continuamente i moltissimi episodi di autolesionismo all'interno dei CIE italiani, i disperati tentativi di fuga, gli scioperi della fame e le rivolte che scoppiano sempre più spesso per l'esasperazione dei reclusi.
Di poche settimane fa la morte per overdose di un ragazzo tunisino detenuto al CIE di Bologna.
E la situazione non potrà che peggiorare.
Con una decisione sconcertante il Ministero dell'Interno ha messo a bando la gestione di alcuni CIE, tra cui quelli di Modena e Bologna, al massimo ribasso con una base di partenza prevista in 30 euro al giorno per ogni persona trattenuta.
Sono inorridita di fronte a questa scelta che rischia di rendere un luogo ingiusto e degradante ancora più disumano.
Ricordo che nelle carceri italiane, dove le condizioni di vita sono al limite della sopportazione, la spesa media giornaliera per detenuto è stata nel 2011 di circa 112 euro.
Per questa forma di carcerazione parallela, a mio avviso intollerabile per un paese civile, gestita da privati, dove la pena viene scontata in assenza di reato e condanna, lo stato decide di non spendere nemmeno i soldi necessari a far si che un trattenimento ingiusto non si trasformi in trattamento disumano.
Come potranno essere garantite l'assistenza legale, la mediazione linguistica, il monitoraggio dei casi in entrata e in uscita, la cura delle dipendenze o del disagio psichico.
Ma anche semplicemente: come potrà essere garantita la minima assistenza sanitaria o un pasto decente?
Il Forum Immigrazione del Partito Democratico e la stessa Livia Turco, firmataria della legge che istituì i CIE – allora CPT –, oggi dicono che questi luoghi vanno superati e che, dopo l'allungamento a 18 mesi del periodo di trattenimento, le condizioni di vita al loro interno sono divenute inaccettabili.
Io penso che inaccettabile sia sempre stata la violazione di diritto da cui questi luoghi sono nati: l'istituzione di una forma di carcerazione discriminatoria e, come ho già detto, in assenza di processo e condanna. Penso che in quella preliminare violazione di diritto fosse già scritto il destino di questi luoghi, un necessario progressivo imbarbarimento che da quella premessa discendeva chiarissimo, come denunciato allora da moltissimi cittadini e associazioni.
Ma meglio tardi che mai.
Venerdì anche Famiglia Cristiana è intervenuta con un lungo articolo del quale riporto l'inizio, non potrei esprimermi meglio:
'Sbarre, inferriate, cancelli, militari di guardia. E, superata la prima recinzione, c'è la seconda. Ancora lucchetti, sbarramenti, reti di protezione. Ma non si possono chiamare prigioni, sono i Cie, Centri di identificazione ed espulsione. Gli stranieri, dentro, non si possono chiamare detenuti, sono 'ospiti'. Non sono privati della libertà, sono solo 'trattenuti'. I custodi non sono secondini. Gli immigrati, all'arrivo, passano semplicemente per un'accettazione", come in ospedale.
Ma è sufficiente usare altri nomi per cambiare la realtà delle cose?' "
"Da quando ho assunto la carica di consigliere comunale questo è il terzo intervento che svolgo per l'esigenza di portare all'attenzione di quest'aula e della città ciò che succede dietro le mura dei Centri di Identificazione ed Espulsione.
Negli interventi precedenti segnalavo due casi venuti alla luce grazie all'interessamento di associazioni e gruppi di cittadini.
Due casi di ingiuste detenzioni presso i Cie di Bologna e Modena.
A Novembre Adama: vessata a e ricattata dal compagno, quando ha trovato il coraggio di denunciare le violenze subite, invece di ricevere protezione, è stata rinchiusa presso il Cie di Bologna.
Poche settimane fa: Andrea e Senad, genitori bosniaci, nati e cresciuti a Sassuolo, disoccupati, come moltissimi giovani italiani, ma senza cittadinanza. Dunque rinchiusi presso il Cie di Modena.
Adama, Andrea e Senad oggi sono liberi.
Adama ha trovato la giusta attenzione e l'assistenza che merita una donna che ha subito violenza.
La liberazione di Andrea e Senad è avvenuta grazie ad un'importantissima sentenza con la quale il Giudice di Pace di Modena ha disposto il loro rilascio stabilendo un principio elementare e fondamentale: chi nasce in Italia non può essere considerato straniero.
L'attenzione della società civile, delle associazioni, dei giornalisti ha permesso che queste storie non si perdessero nel silenzio, non si consumassero inascoltate all’ombra delle mura dei CIE.
Ma quante storie simili a quella di Adama, Andrea e Senad hanno avuto luogo all'interno dei CIE italiani senza trovare ascolto?
In questi luoghi, normalmente opachi e inaccessibili, non qualificati come carceri, ma all'interno dei quali le persone sono private della libertà personale per un periodo di tempo che può raggiungere i 18 mesi, i diritti subiscono una sorta di sospensione.
Colleghi vorrei dirvi oggi che di questi luoghi dimenticati bisognerebbe parlare tutti i giorni: la cronaca riporta continuamente i moltissimi episodi di autolesionismo all'interno dei CIE italiani, i disperati tentativi di fuga, gli scioperi della fame e le rivolte che scoppiano sempre più spesso per l'esasperazione dei reclusi.
Di poche settimane fa la morte per overdose di un ragazzo tunisino detenuto al CIE di Bologna.
E la situazione non potrà che peggiorare.
Con una decisione sconcertante il Ministero dell'Interno ha messo a bando la gestione di alcuni CIE, tra cui quelli di Modena e Bologna, al massimo ribasso con una base di partenza prevista in 30 euro al giorno per ogni persona trattenuta.
Sono inorridita di fronte a questa scelta che rischia di rendere un luogo ingiusto e degradante ancora più disumano.
Ricordo che nelle carceri italiane, dove le condizioni di vita sono al limite della sopportazione, la spesa media giornaliera per detenuto è stata nel 2011 di circa 112 euro.
Per questa forma di carcerazione parallela, a mio avviso intollerabile per un paese civile, gestita da privati, dove la pena viene scontata in assenza di reato e condanna, lo stato decide di non spendere nemmeno i soldi necessari a far si che un trattenimento ingiusto non si trasformi in trattamento disumano.
Come potranno essere garantite l'assistenza legale, la mediazione linguistica, il monitoraggio dei casi in entrata e in uscita, la cura delle dipendenze o del disagio psichico.
Ma anche semplicemente: come potrà essere garantita la minima assistenza sanitaria o un pasto decente?
Il Forum Immigrazione del Partito Democratico e la stessa Livia Turco, firmataria della legge che istituì i CIE – allora CPT –, oggi dicono che questi luoghi vanno superati e che, dopo l'allungamento a 18 mesi del periodo di trattenimento, le condizioni di vita al loro interno sono divenute inaccettabili.
Io penso che inaccettabile sia sempre stata la violazione di diritto da cui questi luoghi sono nati: l'istituzione di una forma di carcerazione discriminatoria e, come ho già detto, in assenza di processo e condanna. Penso che in quella preliminare violazione di diritto fosse già scritto il destino di questi luoghi, un necessario progressivo imbarbarimento che da quella premessa discendeva chiarissimo, come denunciato allora da moltissimi cittadini e associazioni.
Ma meglio tardi che mai.
Venerdì anche Famiglia Cristiana è intervenuta con un lungo articolo del quale riporto l'inizio, non potrei esprimermi meglio:
'Sbarre, inferriate, cancelli, militari di guardia. E, superata la prima recinzione, c'è la seconda. Ancora lucchetti, sbarramenti, reti di protezione. Ma non si possono chiamare prigioni, sono i Cie, Centri di identificazione ed espulsione. Gli stranieri, dentro, non si possono chiamare detenuti, sono 'ospiti'. Non sono privati della libertà, sono solo 'trattenuti'. I custodi non sono secondini. Gli immigrati, all'arrivo, passano semplicemente per un'accettazione", come in ospedale.
Ma è sufficiente usare altri nomi per cambiare la realtà delle cose?' "