CONSIGLIO COMUNALE, INTERVENTO DI INIZIO SEDUTA DEL CONSIGLIERE MIRCO PIERALISI (AMELIA PER BO) SULL'EPISODIO DI VIOLENZA AI DANNI DI UN CLOCHARD
Si trasmette il testo dell'intervento di inizio seduta nel Consiglio comunale odierno, del consigliere Mirco Pieralisi (Amelia per Bo), sull'episodio di violenza ai danni di un clochard.
"Guai ai vinti? Questo in sintesi il messaggio che ci...
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Si trasmette il testo dell'intervento di inizio seduta nel Consiglio comunale odierno, del consigliere Mirco Pieralisi (Amelia per Bo), sull'episodio di violenza ai danni di un clochard.
"Guai ai vinti? Questo in sintesi il messaggio che ci viene recapitato da una banda di violenti e prepotenti che picchiano a rapinano un uomo, variamente definito barbone, clochard, senza fissa dimora, in sintesi emarginato. In realtà emarginati, verrebbe da dire, nel senso di emarginati dal nostro senso comune di appartenenza alla comunità, sarebbero soprattutto loro, quelli che gli hanno tolto i soldi e non contenti di questo molto facile obiettivo, lo hanno picchiato. Lui era solo, povero, vittima ideale, a costo zero come si dice oggi. Di lui ora conosciamo un po' di storia, cerchiamo di riparare a dei torti che vengono da lontano e spesso non direttamente da noi. Abbiamo la possibilità, grazie alle tante associazioni e persone spesso anonime di questa città, di cercare di avvicinarci a realtà di nuova e vecchia povertà. Lavora Piazza Grande, lavora la rete delle parrocchie, lavorano i centri sociali, lavora instancabilmente la nostra Amelia Frascaroli. E tutti siamo consapevoli che non faremo mai abbastanza ma continueremo a fare.
Ma gli altri chi sono? Chi sono quelli che rappresentano l'altra faccia della comunità, quelli che ci rammentano vecchi fantasmi e compiono nuove sopraffazioni? Gli avvocati di strada ci ricordano quanti episodi di violenza e quante tragedie accompagnino la vita delle persone che vivono sulla strada. Antico in effetti è il gioco dell'accanimento nei confronti dei più deboli e di chi non si può difendere, come addirittura Omero ricorda nell'Odissea, quando i principi pretendenti si fanno beffe di Ulisse, trasformato da Atena in cencioso mendicante. Ma lì assistevamo in realtà ad uno scontro tra principi usurpatori e un re nascosto. In tante violenze perpetrate fino a queste ore si recita a soggetto tra ultimi e penultimi così come tra bulli e vittime designate o tra ricchi viziati e poveri perdenti.
Una comunità come la nostra è ancora forte per poter farsi carico delle vittime? E' giusto domandarselo sempre, anche quando cogliamo segnali importanti come quelli ad esempio legati all'attuazione del piano freddo. Ma soprattutto la domanda, mi verrebbe da dire la domanda vera, è se siamo in grado di occuparci dei potenziali o reali aggressori, perchè diciamolo, quello che ci angoscia di più in situazioni come questa è l'emersione di fenomeni di fronte ai quali ci sentiamo disarmati, soprattutto quando non sono imputabili alla mente deviata (o presunta tale) di un singolo ma sono espressione del senso comune di un gruppo.
Non posso non chiedermi quali elementi, nell'esperienza di vita loro o delle loro famiglie, come nella formazione culturale, scolastica, mediatica o di strada che sia, nella loro educazione sentimentale siano intervenuti da poterli rendere capaci di atti (spesso nemmeno sostenuti dal movente della rapina) nei confronti di persone che non sono nemmeno in grado di difendersi e nemmeno di farsi difendere. Ancora di più mi chiedo cosa bisogna fare per uscire dalla cultura del vincente e del perdente (parole troppo spesso usate al di fuori dello sport e ascoltate fin troppo spesso nelle serie televisive come nelle conversazioni tra adolescenti e preadolescenti).
Tra avere riferimenti culturali non ispirati da atteggiamenti di solidarietà e assumere comportamenti di sopraffazione fortunatamente c'è un grande salto che la maggior parte delle persone non farà ed è altrettanto scontato che atti specifici di aggressione alle persone vanno sanzionate a termini di legge. Ma il nostro problema è attrezzarci ad un lungo lavoro di prevenzione, anche quando siamo legittimamente tentati dal solo linguaggio del codice penale.
C'è sempre un tempo, nella nostra vita, a qualsiasi età, per ripensare, per tornare indietro, per cambiare idee e comportamenti, nessuno è perduto per sempre. Ma è evidente a tutti che un passaggio decisivo per la nostra educazione culturale, morale e sentimentale si trova nel periodo di tempo in cui le figure adulte del vissuto quotidiano sono ancora importanti, ma non sono più la sola ed esclusiva fonte di avviamento alla vita. Questo elemento, riconosciuto da tutti, non può costituire una ragione di fatalistico disimpegno ma, al contrario, ci deve stimolare nella missione possibile di rendere più ricco di contenuti caldi il contesto di vita attraversato dai ragazzi. Questo significa creare occasioni di apprendimento diffuso dove non venga valorizzata la competitività ma la collaborazione, non venga premiato il conformismo ma la curiosità, non vengano fornite risposte chiuse ma proposte domande aperte. E per fare questo ci vuole lavoro, generosità e spesa pubblica di qualità, a partire da quel luogo di incontro decisivo che è la scuola pubblica, dove le occasioni di prendere la strada giusta devono moltiplicarsi. Teniamone conto, quando sarà il momento di fare i conti.
"Guai ai vinti? Questo in sintesi il messaggio che ci viene recapitato da una banda di violenti e prepotenti che picchiano a rapinano un uomo, variamente definito barbone, clochard, senza fissa dimora, in sintesi emarginato. In realtà emarginati, verrebbe da dire, nel senso di emarginati dal nostro senso comune di appartenenza alla comunità, sarebbero soprattutto loro, quelli che gli hanno tolto i soldi e non contenti di questo molto facile obiettivo, lo hanno picchiato. Lui era solo, povero, vittima ideale, a costo zero come si dice oggi. Di lui ora conosciamo un po' di storia, cerchiamo di riparare a dei torti che vengono da lontano e spesso non direttamente da noi. Abbiamo la possibilità, grazie alle tante associazioni e persone spesso anonime di questa città, di cercare di avvicinarci a realtà di nuova e vecchia povertà. Lavora Piazza Grande, lavora la rete delle parrocchie, lavorano i centri sociali, lavora instancabilmente la nostra Amelia Frascaroli. E tutti siamo consapevoli che non faremo mai abbastanza ma continueremo a fare.
Ma gli altri chi sono? Chi sono quelli che rappresentano l'altra faccia della comunità, quelli che ci rammentano vecchi fantasmi e compiono nuove sopraffazioni? Gli avvocati di strada ci ricordano quanti episodi di violenza e quante tragedie accompagnino la vita delle persone che vivono sulla strada. Antico in effetti è il gioco dell'accanimento nei confronti dei più deboli e di chi non si può difendere, come addirittura Omero ricorda nell'Odissea, quando i principi pretendenti si fanno beffe di Ulisse, trasformato da Atena in cencioso mendicante. Ma lì assistevamo in realtà ad uno scontro tra principi usurpatori e un re nascosto. In tante violenze perpetrate fino a queste ore si recita a soggetto tra ultimi e penultimi così come tra bulli e vittime designate o tra ricchi viziati e poveri perdenti.
Una comunità come la nostra è ancora forte per poter farsi carico delle vittime? E' giusto domandarselo sempre, anche quando cogliamo segnali importanti come quelli ad esempio legati all'attuazione del piano freddo. Ma soprattutto la domanda, mi verrebbe da dire la domanda vera, è se siamo in grado di occuparci dei potenziali o reali aggressori, perchè diciamolo, quello che ci angoscia di più in situazioni come questa è l'emersione di fenomeni di fronte ai quali ci sentiamo disarmati, soprattutto quando non sono imputabili alla mente deviata (o presunta tale) di un singolo ma sono espressione del senso comune di un gruppo.
Non posso non chiedermi quali elementi, nell'esperienza di vita loro o delle loro famiglie, come nella formazione culturale, scolastica, mediatica o di strada che sia, nella loro educazione sentimentale siano intervenuti da poterli rendere capaci di atti (spesso nemmeno sostenuti dal movente della rapina) nei confronti di persone che non sono nemmeno in grado di difendersi e nemmeno di farsi difendere. Ancora di più mi chiedo cosa bisogna fare per uscire dalla cultura del vincente e del perdente (parole troppo spesso usate al di fuori dello sport e ascoltate fin troppo spesso nelle serie televisive come nelle conversazioni tra adolescenti e preadolescenti).
Tra avere riferimenti culturali non ispirati da atteggiamenti di solidarietà e assumere comportamenti di sopraffazione fortunatamente c'è un grande salto che la maggior parte delle persone non farà ed è altrettanto scontato che atti specifici di aggressione alle persone vanno sanzionate a termini di legge. Ma il nostro problema è attrezzarci ad un lungo lavoro di prevenzione, anche quando siamo legittimamente tentati dal solo linguaggio del codice penale.
C'è sempre un tempo, nella nostra vita, a qualsiasi età, per ripensare, per tornare indietro, per cambiare idee e comportamenti, nessuno è perduto per sempre. Ma è evidente a tutti che un passaggio decisivo per la nostra educazione culturale, morale e sentimentale si trova nel periodo di tempo in cui le figure adulte del vissuto quotidiano sono ancora importanti, ma non sono più la sola ed esclusiva fonte di avviamento alla vita. Questo elemento, riconosciuto da tutti, non può costituire una ragione di fatalistico disimpegno ma, al contrario, ci deve stimolare nella missione possibile di rendere più ricco di contenuti caldi il contesto di vita attraversato dai ragazzi. Questo significa creare occasioni di apprendimento diffuso dove non venga valorizzata la competitività ma la collaborazione, non venga premiato il conformismo ma la curiosità, non vengano fornite risposte chiuse ma proposte domande aperte. E per fare questo ci vuole lavoro, generosità e spesa pubblica di qualità, a partire da quel luogo di incontro decisivo che è la scuola pubblica, dove le occasioni di prendere la strada giusta devono moltiplicarsi. Teniamone conto, quando sarà il momento di fare i conti.