Comunicati stampa

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Istruttoria pubblica sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, l'intervento del sindaco Matteo Lepore

"Grazie, Presidente. Grazie a tutte le persone che sono qui con noi oggi, a partire dai Consiglieri comunali, gli Assessori, i tecnici del Comune, gli esperti, le tante realtà organizzate della città che hanno aderito a questa nostra is...

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"Grazie, Presidente. Grazie a tutte le persone che sono qui con noi oggi, a partire dai Consiglieri comunali, gli Assessori, i tecnici del Comune, gli esperti, le tante realtà organizzate della città che hanno aderito a questa nostra istruttoria. Un particolare saluto, anche se interverranno domani lasciatemelo fare, agli studenti del Minghetti, del Sabin e del Copernico, ai rappresentanti della comunità studentesca che hanno accettato la sfida di prendere parola in queste tre giornate. Credo che sia molto importante che abbiano deciso di farlo in questo luogo istituzionale.

Da quando ho iniziato a fare il Sindaco – confesso – più volte mi sono chiesto come riuscire ad affrontare dal punto di vista delle istituzioni e con la forza delle istituzioni uno dei temi che ci attraversa maggiormente in questi anni, cioè la cura dell’infanzia e dell’adolescenza, i diritti di questa fascia della popolazione che noi tutti abbiamo conosciuto direttamente con le nostre esperienze di vita. Questa è la prima questione che dobbiamo affrontare. Noi tutti siamo stati bambini, siamo stati ragazzi, ragazze, tutti ci siamo passati. Tutti noi oggi ci domandiamo come sono i ragazzi che crescono nella nostra città, qual è il loro futuro, quali le loro aspettative, i loro diritti. Certo noi come istituzioni abbiamo un dovere in più: non possiamo soltanto porci delle domande, dobbiamo anche mettere in campo iniziative e progetti, riflettere assieme. Lo avevamo già detto quando abbiamo dedicato una seduta solenne del Consiglio comunale alla Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In quell’occasione abbiamo non solo ringraziato chi ogni giorno lavora con i ragazzi e con i bambini e le bambine. Ma volevamo anche lanciare l’idea di un’istruttoria pubblica, una discussione aperta della quale fare tesoro, che avrebbe permesso a questo Consiglio comunale di incontrare esperti, le tante realtà che ogni giorno sono fondamentali per la crescita del nostro sistema educativo. Questo Consiglio avrebbe potuto così con l’istruttoria svolgere appieno la propria funzione di indirizzo presso la Giunta e ovviamente il Sindaco. Una sfida comune, una sfida trasversale.

Nel mio intervento che ho tenuto per aprire il mandato non a caso ho richiamato tutte le forze politiche a lavorare insieme attorno alla cultura della solidarietà. Credo che rivolgendoci alla comunità più giovane, alla parte più giovane della nostra comunità dobbiamo assolutamente partire da questo impegno comune: la cultura della solidarietà. E bisogna, dunque, farsi le domande giuste per poi arrivare alle soluzioni. Dobbiamo farcele come cittadini innanzitutto, come cittadine, come persone impegnate, come parte decisiva anche della comunità professionale che si occupa delle questioni importanti che in queste tre giornate ascolteremo. Alcune di queste domande ce le siamo già poste nel corso delle Settimane pedagogiche, dove insieme all’assessore Ara e alle competenze straordinarie dell’Area educazione, istruzione e nuove generazioni – voglio ringraziare Veronica Cerruti che è qui, la direttrice e tutte le persone che insieme a lei lavorano in questo settore, fino a chi nei nidi, nelle scuole, nei centri estivi e nelle tante realtà ogni giorno indossa la divisa del Comune e rappresenta il nostro orgoglio e la nostra reputazione – dicevo, queste domande ce le siamo posti insieme a loro in quelle settimane e abbiamo ripreso una tradizione: quella che una volta si chiamava la tradizione del Febbraio pedagogico, che tanto ha dato lustro alla nostra città e che ci ha permesso, nel tempo, di aprire nuove strade nel campo della pedagogia e della riflessione legata ai diritti dell’infanzia. Abbiamo ripreso innanzitutto pensando ai nostri spazi, sia dal punto di vista architettonico sia dal punto di vista del tempo. Il tempo che dovevamo dedicare a noi stessi. Come un giro di boa. La voglia di essere di nuovo una città che sa innovare, che sa ricercare la messa in discussione delle proprie certezze. Quindi non delle settimane dedicate a raccontare ai cittadini quanto siamo bravi, ma settimane dedicate ad ascoltare chi ha voglia veramente di mettere in discussione un sistema e poterlo aggiornare, decidendo poi come istituzione (Consiglio e Giunta) di investire risorse in modo adeguato, anche su novità. O togliere risorse su quelle poste che non sono più considerate attuali, perché credo sia molto importante oggi, se vogliamo dare risposte a bisogni nuovi e vecchi, essere sinceri fra noi, guardarsi negli occhi, dirci le cose che abbiamo sbagliato in questi anni e anche scegliere quelle belle che magari fanno gli altri, che sono arrivati prima di noi e che ci piace non tanto copiare, ma alle quali ci vogliamo ispirare. Bologna, quando ha fatto questo con grande sincerità, voglia e impegno, ha in effetti aperto nuove strade; e credo che in questo ambito dobbiamo avere l’orgoglio e la capacità di ripartire con un orizzonte che guarda lontano.

Ecco perché un’istruttoria, per riannodare dei fili, ma anche per aprire nuove strade a partire da alcuni valori. Ho detto prima della cultura e della solidarietà. Siamo in un Consiglio comunale che in questo primo anno e mezzo di lavoro ha toccato molti argomenti, ma ha anche messo in discussione i propri simboli. Lo dico ai cittadini e alle realtà che sono venute qua oggi. Siete in un Consiglio comunale che ha fatto entrare la politica democratica, votata direttamente dalle persone, ma ha deciso anche di introdurre l’arte pubblica con figure femminili; ha scelto la poesia per rappresentare gli spazi pubblici; abbiamo cambiato un linguaggio, abbiamo introdotto il linguaggio dell’arte nel palazzo comunale, nella sala del Consiglio perché non possiamo bastare a noi stessi. Ecco perché un’istruttoria pubblica: perché non bastiamo noi per cambiare questa città, abbiamo bisogno di coinvolgere la comunità e dalla comunità ripartire. È il motivo per cui ad esempio pochi minuti fa abbiamo intitolato la Sala Azzurra, quella che ci permette di entrare in quest’aula più grande, al professor Carlo Flamigni, “il medico delle donne”, la persona che dagli anni Settanta ha discusso, piazza per piazza, sala per sala, supermercato per supermercato, luogo di lavoro per luogo di lavoro i diritti delle donne e un’idea più democratica della medicina, fino ad arrivare ai consultori pubblici, alla fecondazione assistita, alle nuove frontiere della bioetica e della genitorialità. Partire da Carlo Flamigni, che già fu Presidente di questo Consiglio e che propose in quell’epoca (alla fine degli anni Novanta) un’istruttoria pubblica dedicata proprio ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Un’idea laica delle istituzioni che non voleva imporre delle idee, ma anzi apriva alla discussione con tutti. Fu allora quell’istruttoria il punto di partenza di un forum aperto di istituzioni che, a livello locale e nazionale, aprirono un dibattito. Non a caso non solo locale, con punti di vista diversi, per riuscire a trovare soluzioni insieme. Di questo credo ci sia molto bisogno nel nostro Paese e ancora di più nella nostra città; e di questo avremo bisogno in questa tre giorni e nei mesi e negli anni a venire. Insieme a Flamigni vorrei richiamare anche un altro nome, quello di Andrea Canevaro, pedagogista e professore dell’Università di Bologna recentemente scomparso. L’ho già citato in un intervento che ho svolto all’interno dell’inaugurazione del nuovo Teatro comunale in fiera, al Teatro comunale Nouveau. Uno studioso di prestigio internazionale, che è stato per noi tutti un esempio di collaborazione tra il mondo accademico e la pratica quotidiana dell’amministrare, che si è occupato in particolare di inclusione sociale. Un altro nome che voglio ricordare è quello di Matilde Callari Galli, alla quale abbiamo conferito poche settimane fa il Nettuno d’oro. Ancora una volta in occasione di quell’intervento che feci per l’inaugurazione del Teatro comunale citai sia Andrea Canevaro che Matilde Callari Galli annunciando che le avremmo conferito poco dopo il Nettuno d’oro, e lo feci argomentando attorno all’idea di una nuova geografia culturale della città. Un’antropologa, una docente universitaria che avremmo premiato per il suo impegno nella politica, nelle istituzioni, dedicato allo studio delle differenze e alla formazione verso la comunità educante, che avrebbe negli anni proprio messo in campo le proprie competenze per edificare e rafforzare tutti gli strumenti educativi e formativi del Comune di Bologna. Accanto a loro dobbiamo necessariamente immaginare quegli spazi di quella geografia culturale che abbiamo iniziato anche a trasformare. Penso al progetto “Scuole aperte”, perché, quando quel giorno citai la nuova geografia culturale, intendevo il Modernissimo, il Teatro Comunale, i tanti luoghi dei quartieri che avremmo aperto per gli investimenti culturali, ma in quella geografia culturale immaginavo e immaginiamo anche le scuole aperte, che insieme all’assessore Ara abbiamo presentato proprio pochi giorni fa. Perché, se le scuole possono essere aperte il pomeriggio, sono luoghi dell’educazione e della cultura, dell’incontro, della partecipazione, della conoscenza del territorio. Un progetto che per noi è un avvio, che vogliamo portare a raggiungere tutte le scuole medie superiori della città con risorse adeguate. Costruito e pensato insieme agli insegnanti dell’autonomia scolastica. Poi le piazze, come la piazza Lucio Dalla nel cuore della Bolognina, anch’esso un luogo importante che sempre di più è conosciuto e si sta plasmando a partire dalla partecipazione delle persone. Quando abbiamo consegnato il Nettuno d’oro a Matilde Callari Galli, ci siamo fatti una promessa: abbiamo detto che dovevamo guardare a Bologna come ad un’ambizione e non come a uno stato di fatto; dovevamo partire dalle nostre differenze, osservarle e capirle proprio come approccio della comunità e della città educante; a muovere le nostre bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze a partire dalla loro curiosità, non dall’idea della sopraffazione delle persone le une sulle altre. Ecco perché la scuola è la soluzione. Ecco perché la scuola è innanzitutto il luogo dell’inclusione.

La scuola che ha l’orgoglio, ad esempio, nella nostra città di avere classi che si compongono da cittadini e cittadine che vengono da Paesi diversi per i loro genitori; la scuola dove noi andiamo a raccontare quello che il nostro statuto del Consiglio comunale ha deciso di introdurre, cioè il principio dello “ius soli alla bolognese” come l’abbiamo simpaticamente chiamato noi. Quell’idea che chi nasce a Bologna o ci arriva, deve essere considerato bolognese. Crediamo così tanto in questo principio che abbiamo deciso di caratterizzare anche il cortile d’onore di Palazzo d’Accursio. Chi arriva in piazza Maggiore ed entra in questo palazzo, sa cosa pensiamo. E credo che sia importante confrontarsi con questo principio. Di più ancora oggi, quando questa idea della bolognesità a volte viene un po’ offesa e noi invece orgogliosamente la vogliamo difendere. I portici, in fondo, insieme alle piazze tengono insieme in un abbraccio la forma della città, nel suo centro storico e nella sua parte più periferica. L’Unesco ha riconosciuto questo patrimonio universale che si fonda in una idea di città plurale, diversa, che non a caso nei luoghi della cultura e dell’educazione è il collante vero che ci tiene assieme. Ripensare questi luoghi è fondamentale, ripensarli non per chiuderli e metterli da parte, ma anzi per riportarli al centro del nostro punto di vista, della nostra capacità di progettare. Se noi non saremo in grado di metterle in discussione, non saremo coerenti con le cose che ci stiamo dicendo e butteremmo via un’occasione: butteremmo via quello spazio nel tempo che ci siamo detti prima di dover recuperare.

Noi non dobbiamo usare queste tre giornate, dunque, per celebrarci – lo dico ancora una volta –, ma per metterci in discussione e progettare qualche cosa di nuovo, qualche cosa che raggiunga tutta la popolazione dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze, non solo una parte. Perché noi, è vero, ci occupiamo con dei servizi straordinari delle marginalità, del disagio, della disabilità, delle povertà e lo facciamo con grande sforzo e voglio ancora ringraziare chi lavora nei servizi, chi lavora nel terzo settore, nei nostri servizi così come quelli delle altre istituzioni, ma noi della politica dobbiamo avere l’ambizione di rivolgerci a tutti, non solo ad alcuni. Lo dobbiamo fare perché oggi nessuno può dirsi al di fuori delle fragilità. Chi oggi guardandosi in famiglia può dire di non avere delle difficoltà o sperare un domani di non averne? Io credo che la pandemia ci abbia insegnato che la fragilità è uno stato della nostra vita, con la quale dobbiamo convivere e che non sia invece uno stigma. Noi dobbiamo invece affermare quel diritto alla fragilità, che ci dice che la fragilità è il punto di forza dal quale essere consapevoli di quello che siamo e quello che vogliamo e possiamo fare. E una città dell’emancipazione, dell’autonomia e delle opportunità deve partire da questo, non puntando sull’individualismo ma sul fatto che insieme ci diamo una mano e che noi che siamo qui e che investiamo risorse pubbliche e dobbiamo pensare al futuro, dobbiamo essere proprio quelli che mettono a disposizione la forza delle istituzioni per far sì che la fragilità sia appunto un motivo di comunità e non di isolamento. La scuola da questo punto di vista è centrale, è strategica, è luogo dove tutta la popolazione scolastica si incontra, dove anche quelli che si stanno antipatici sono costretti a incontrarsi, dove i ragazzi che solitamente si isolano vanno, dove le persone che hanno scelto l’insegnamento come missione, come professione, come periodo della propria vita, perché no, devono confrontarsi con la realtà di tutti i giorni, con le cose che non ci piacciono, con il disagio, con la scuola del merito (che a me non piace tanto, ma che pure è una realtà), con quell’idea a volte un po’ strana per cui l’autorità e l’autorevolezza di chi fa il mestiere dell’insegnante viene messo in discussione non tanto dai ragazzi ma dai genitori, le tante contraddizioni dell’essere una comunità scolastica. Che però è una realtà che noi dobbiamo sapere affiancare e accompagnare, perché, se noi mettiamo al centro la scuola, mettiamo al centro tutti e insieme ai tanti riusciamo a trovare riflettendo in modo democratico le soluzioni. Dunque non ci vogliamo occupare solo dell’infanzia, ma con questo punto di vista ci vogliamo occupare anche della preadolescenza e dell’adolescenza fino alla maggiore età. Questa è una sfida che ho lanciato alla mia Giunta, non solo all’assessore all’Educazione, anche a chi si occupa di sport, chi si occupa di giovani, chi si occupa di ambiente, di spazio pubblico, di trasporti per la mobilità.

Noi ci dobbiamo rivolgere a tutta la popolazione, perché non possiamo lasciare indietro nessuno. Dunque questi nostri incontri devono servire a parlare di didattica ma anche di cittadinanza, di come tessiamo un filo per tenere insieme la nostra comunità. E dunque non basta fare amministrazione, bisogna pensare alla politica, alla politica che deve trovare dentro la città le soluzioni e, quando non le trova, perché da soli non ci riusciamo, deve rivolgersi alla comunità nazionale per far sì che l’ambizione di Bologna nell’essere una città solidale, innovativa ed inclusiva possa andare avanti.

Questo è il richiamo che voglio farvi davvero. Non limitiamoci a guardare soltanto il presente: guardiamo al futuro, perché lì troveremo i nostri ragazzi e le nostre ragazze".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:55
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