Cittadinanza onoraria al Cardinale Matteo Maria Zuppi, l'intervento del sindaco Matteo Lepore
Si è tenuta questo pomeriggio, nella Sala del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria al Cardinale Matteo Maria Zuppi.Di seguito l'intervento del sindaco Matteo Lepore."Grazie Presidente. S...
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Si è tenuta questo pomeriggio, nella Sala del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria al Cardinale Matteo Maria Zuppi.
Di seguito l'intervento del sindaco Matteo Lepore.
"Grazie Presidente.
Saluto le autorità militari, civili e religiose presenti, tutti i consiglieri comunali e le consigliere, e gli amici, collaboratori e do il benvenuto nel Consiglio comunale a sua Eminenza, Cardinale Zuppi, per noi cittadini bolognesi 'don Matteo'. Sono molto felice e anche emozionato di poterlo accogliere qui oggi insieme a voi per questa cittadinanza onoraria.
Come sapete, questa non è la prima cittadinanza onoraria che la nostra istituzione conferisce a una persona con il suo ruolo in questa città. Infatti il 26 novembre 1966 il Sindaco Guido Fanti innanzi al Consiglio comunale consegnava nelle mani del Cardinale Lercaro un'altra cittadinanza onoraria. Prima nel mio ufficio ho avuto modo di mostrare a don Matteo un libro che racconta attraverso alcune fotografie, alcuni passi, quegli anni così importanti, a partire da quando il Sindaco Dozza lo accolse fino al momento in cui ci fu la consegna della cittadinanza onoraria. Allora il Sindaco Fanti usò delle parole importanti per descrivere e commentare le motivazioni che l'Amministrazione, insieme al Consiglio, aveva deciso di utilizzare per quel riconoscimento così solenne. Si diceva allora infatti nei documenti che Bologna, Medaglia d'oro del Risorgimento e della Resistenza, con un atto libero e consapevole della propria civica rappresentanza conferiva a Sua Eminenza, il Cardinale Giacomo Lercaro, pastore dell'Arcidiocesi la cittadinanza onoraria. 'Riconoscimento solenne dell’alto magistero espresso in seno al concilio Vaticano II, a sostegno delle aspirazioni universali alla pace, alla cooperazione fraterna tra i popoli e al civile progresso; del nobile impegno a contribuire solidalmente alla guida della chiesa bolognese, alla costruzione di un più avanzato modello di civiltà negli spiriti, nel pensiero, nella vita e nel costume cittadini, in una società più giusta e più umana; più umana, dei sentimenti di responsabilità e d’affetto per i quali egli ha voluto collegate alla città di Bologna, sino alla fine, l’opera sua e la vita stessa'.
E commentando queste parole, che sono le vere motivazioni, ricordava il Sindaco Fanti quanto l'ispirazione della sua guida pastorale fosse legata alla solidarietà reale e intima con il genere umano e la sua storia. Ecco, io ho trovato queste parole molto coerenti con quelle che don Matteo ha utilizzato nel suo primo saluto alla città, quando ringraziò di cuore il calore e l'amicizia che da quel momento non l'avrebbe più abbandonato. L’intelligenza umana e la bonomia di una città che, incuriosita dal suo arrivo, apprendeva la notizia e lo andava ad accogliere. E ci richiamava allora in un primo discorso quanto fosse importante, innanzitutto in una città benestante e capace di tante cose, non perdere di vista innanzitutto una consapevolezza: il pericolo legato all’indifferenza, al pensarsi come un'isola, al guardare la realtà da spettatori, magari – lui diceva – 'come raffinati critici e attenti giudiconi'.
Ci metteva in guardia già allora dall'atteggiamento di chiusura, dall'idea di proteggerci per un banale egoismo che avrebbe fatto male a tutti, anche alla Chiesa diceva lui. E sin da subito ha richiamato le parole di Papa Francesco nell’idea di essere assieme fratelli e sorelle in una vita appassionata, da considerare come un'avventura. Si è subito messo a disposizione delle nostre istituzioni, delle associazioni. Mi ricordo che nei primi giorni, nei primi mesi decise di camminare nelle strade e nelle piazze della città, sotto i portici, nelle parrocchie e in tutti i luoghi dei nostri quartieri, delle nostre Comunità montane, della pianura, dei Comuni, per incontrare innanzitutto i fedeli e i cittadini e le cittadine, per rendersi conto di che cos'era Bologna, quella città da un milione di abitanti, che probabilmente aveva già conosciuto in altre occasioni, in altra veste e che da quel momento aveva il compito di guidare dal punto di vista spirituale, come esempio e come persona e, da oggi, anche come nostro concittadino onorario.
Ci richiamava allora non solo a non essere vittime della tortura della solitudine, ma di affrontare grandi questioni, come il lavoro, come il futuro dei giovani, la ricerca di una protezione, senza perdersi d'animo, nella necessità di avere uno sguardo più ampio verso il mondo, ponendosi anche le questioni delle sofferenze lontane di chi scappa da un'altra terra per arrivare della nostra. E citò Lucio Dalla. A modo suo lo citò, come dice la sua canzone, richiamando la Protezione della Madonna di San Luca.
Da allora molte sono state le collaborazioni tra lui e noi, fra la Chiesa di Bologna, le sue parrocchie, le tante associazioni e il Comune di Bologna. A partire dalla collaborazione con il Sindaco che ha preceduto, Virginio Merola, con il quale ha costruito credo anche un'amicizia e una solida collaborazione. Potremmo citare tante cose che sono state fatte assieme e credo che già questo capitolo sarebbe davvero importante per la storia recente e anche lunga della nostra città. Forse anche una novità. Certo la Chiesa di Bologna e l'Amministrazione comunale avevano già collaborato, ma credo che l'intensità delle collaborazioni, dei progetti, delle politiche e delle iniziative che sono state messe in campo sia da evidenziare. Anche perché le abbiamo condivise tutti quanti e abbiamo contribuito enormemente, a partire da un progetto al quale teniamo molto, Insieme per il lavoro, nel 2017, io allora ero Assessore al lavoro, pochi mesi dopo cedetti la delega a un collega, e da lì nacque l'intuizione di costruire una collaborazione con tutte le associazioni di categoria, i sindacati, il mondo del terzo settore grazie ad un'eredità importante che la Chiesa di Bologna aveva avuto, questa impresa, eccellenza che anche recentemente abbiamo visto riconoscere a livello nazionale (la Faac), con la Fondazione San Petronio.
Da allora centinaia di persone hanno visto delle risposte di inclusione lavorativa e sociale, momenti di serenità dopo un lungo periodo di sofferenza; tanti tentativi, a volte anche andati a vuoto, di riuscire ad aiutare persone, giovani, meno giovani, donne e uomini nel nostro Comune e nella nostra città metropolitana. Un esempio che poi ci ha permesso di coinvolgere anche la Regione Emilia-Romagna, e credo un esempio davvero di grande sussidiarietà e di considerazione di quello che una comunità può fare assieme, senza aspettare che le politiche nazionali o qualcun altro ci risolva i problemi dal basso, facendo insieme delle soluzioni come nella migliore tradizione bolognese. Come abbiamo fatto per affrontare, ad esempio, l’emergenza dei profughi dall’Ucraina, quando recentemente abbiamo rivolto un appello insieme a tutti i cittadini bolognesi perché aprissero casa alle persone che scappavano dalla guerra, avendo una risposta straordinaria di migliaia di disponibilità, che si sono in alcuni casi tramutate in casa, alloggi, nuove relazioni, in una risposta davvero commovente.
Durante il Covid poi è stato molto importante sempre il Fondo San Petronio, le tante cose che abbiamo fatto, le riflessioni che anche oggi stiamo svolgendo per affrontare le questioni che riguardano gli studenti, la casa e le tante emergenze, dal Piano freddo alle molte questioni che in ambito sociale, lavorativo, economico e ambientale dobbiamo affrontare. Tra le occasioni nelle quali ci siamo ritrovati sicuramente vi è stato Marzabotto, quando ci invitò a ricominciare proprio da lì, da dove ad esempio David Sassoli, al quale dedicheremo una scuola il prossimo anno, ci ha ricordato, qualche tempo prima di salutarci definitivamente, quanto l'Europa dovesse ricominciare da Marzabotto, per affrontare la sofferenza di oggi ricordandoci i valori che ci uniscono.
Ecco, se ci sono un discorso o passi che penso sia importante citare qui oggi, tra quelli che don Matteo ha fatto in questi anni, credo ci sia in particolare la lettera aperta alla nostra Carta costituzionale. Allora lui ebbe modo, su un giornale e poi in altri mezzi di comunicazione, di pubblicare una lettera per ringraziare la Costituzione, la carta più importante che noi abbiamo ricevuto in dono. Noi che siamo nati dopo, che abbiamo imparato a conoscere quanto il nostro Paese abbia ancora oggi radici solide e condivise nelle istituzioni, nei Comuni, nei luoghi di lavoro, negli ospedali grazi e parole importanti che sono state scritte da madri e padri costituenti, che allora decisero di dare un senso nuovo alla nostra patria. Un tesoro importante nato dalle sofferenze, che è basato su delle parole. Le parole contano, perché le parole danno un significato alla nostra esistenza, rappresentano un linguaggio, una visione di quello che siamo e possiamo essere. E ci ha ricordato in questo testo molto importante quanto oggi noi tutti abbiamo bisogno di vero amore politico. “Tutti – mi disse – dobbiamo leggere la Costituzione e non derogare dai doveri della solidarietà, che sono intrecciati con i diritti. Questi esistono e si sviluppano nei gruppi sociali intermedi tra l’individuo e lo Stato, la famiglia prima di tutto ma anche le associazioni e i gruppi sociali e religiosi”. Tutto deve prevalere davvero sul conflitto, dice la nostra Costituzione. Anche se, come sappiamo, il conflitto poi è il sale della democrazia. Ma in questo caso nella sua lettera il conflitto avevo un altro significato. Dobbiamo prenderci cura della nostra Repubblica. Ce lo ricorda la Costituzione stessa, che è programmatica e non è semplicemente un manifesto che fotografa l'esistente. A partire dal sostegno del mondo del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori.
'Significa – scrive don Matteo in questo testo – una visione umanizzante del lavoro e del contributo che ci aspetta dai lavoratori'. Dice una cosa bellissima la Costituzione, cioè che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. E aggiunge la Costituzione che questa retribuzione deve essere, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Il lavoro per la Costituzione è collegato allo sviluppo umano. Lui ci invitava a dire che dopo la crisi, a immaginarci che dopo la crisi della pandemia si smettesse di praticare il precariato, il caporalato e il lavoro nero e che ci potessimo impegnare nel mettere in regola i lavoratori dando continuità e stabilità alla vita delle persone.
È sempre la Costituzione che ci ricorda anche il ruolo dell'impresa, così importante nel nostro territorio. Qui abbiamo una Chiesa di Bologna che è anche imprenditrice in fondo, perché è di fatto il riferimento di un'azienda così importante. Ma nel rapporto con il mondo dell'impresa nasce il progetto Insieme per il lavoro e nel rapporto col mondo dell’impresa si intreccia anche la storia politica e culturale e sociale, e lo scambio di quello che è stato il rapporto tra il mondo della politica bolognese e le sue istituzioni insieme alla Chiesa di Bologna. La nostra Costituzione ci ricorda quanto l’iniziativa economica debba essere libera e garantita, ma quanto ci sia un limite in questo nella utilità sociale, in modo da non recare danno alla sicurezza e alla libertà della dignità umana. Tanto è vero che lo stesso Papa Francesco, come ricorda don Matteo, ha più volte parlato della proprietà privata e qualcuno si è anche un po' spaventato quando Papa Francesco se n'è occupato. Ma in realtà il suo era un richiamo alto e importante, non molto distante da quelle che sono parole semplici, popolari e chiare della nostra Carta costituzionale. Don Matteo in questo testo ricordava addirittura la funzione sociale della cooperazione e il carattere di mutualità, così importante ad esempio per la nostra terra, l'Emilia-Romagna e Bologna. Così come la necessità di non far guastare l'ascensore sociale. Lo diciamo qui da Bologna, forse una delle città che ha questo ruolo nella sua identità storica. Noi stiamo un ascensore sociale per tanti giovani italiani. Due immigrati su tre che vengono nella nostra città sono italiani e ogni dieci anni cambiamo un quarto della nostra popolazione. Questo significa che noi siamo forse una delle più potenti leve per l'attuazione programmatica della Costituzione italiana, e credo che questo sia un orgoglio del quale in questo Consiglio comunale dobbiamo andare davvero fieri.
Poi, un'ultima preoccupazione, diceva lui: l’articolo 11 della Carta costituzionale. Una carta nata dopo la guerra, che aveva nel cuore l'Europa unita, perché aveva visto la tragedia della divisione. In queste parole così importanti, con un post scriptum nel quale tu citavi il nostro Giuseppe Dossetti così importante, io ritrovo i principi che ci devono condurre in modo condiviso a portare avanti percorsi che siano davvero importanti per il futuro nostro, della nostra città, che nella migliore tradizione bolognese non deve vedere protagoniste soltanto le istituzioni, i corpi intermedi, il mondo del lavoro, i partiti ma i cittadini in primo luogo. Cittadini e cittadine.
Con i messaggi che noi, che abbiamo il compito anche di dare l'esempio, dobbiamo riuscire a trasferire ai bambini nelle scuole, ad esempio, alle persone che ogni anno si chiedono se ha ancora senso andare a votare, alle tante persone emarginate, le persone che cerchiamo di aiutare, a quelle che ci presentano progetti e iniziative, e sono davvero tante quelle che si rivolgono a noi.
Con questo spirito di fiducia, io credo, noi oggi accogliamo nella nostra comunità, per la seconda volta, un nuovo cittadino onorario che ha il compito, da un lato, di aiutarci ad accendere la lanterna per andare avanti, ma anche a guardare sempre indietro, di modo che nessuno rimanga dove noi non vorremmo stare. Quindi richiamandoci ancora una volta alla cultura della solidarietà, che è la missione più importante della nostra città. Benvenuto, don Matteo".
In allegato la delibera con le motivazioni lette dalla presidente del Consiglio comunale Maria Caterina Manca.
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