Consiglio comunale, l'intervento d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni in ricordo di Luigi Mariucci
Di seguito gli interventi d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni (Coalizione civica) in ricordo di Luigi Mariucci a cui il Consiglio comunale ha poi dedicato un minuto di silenzio."È estremamente difficile ricordare una personalit...
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Di seguito gli interventi d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni (Coalizione civica) in ricordo di Luigi Mariucci a cui il Consiglio comunale ha poi dedicato un minuto di silenzio.
"È estremamente difficile ricordare una personalità eclettica, complessa, sfaccettata come quella di Luigi Mariucci. Credetemi, non è solo l’emozione e il dolore che, oggi, afferra chiunque abbia conosciuto Gigi, senza via di scampo. È anche l’oggettiva difficoltà di fermare una figura con il passo sospeso su tutte le frontiere. Tra le altre, le frontiere della sua disciplina, il diritto del lavoro. E quelle del suo Paese.
Si poteva intravedere il fumo della sua sigaretta fuori da un convegno di costituzionalisti o di sociologi del lavoro; lo si poteva scorgere nel cortile della Facoltà di Giurisprudenza di Paris X, Nanterre o per i tortuosi stradelli di Toledo, fuori dall’Università di Castilla la Mancha, in Spagna, dove abbiamo insegnato insieme, l’ultima volta, lo scorso settembre, visto che quest’anno la pandemia lo ha reso impossibile. Una splendida avventura intellettuale che si rinnovava tutti gli anni: un confronto tra giuslavoristi dei due mondi, che da Luigi Mariucci venivano a imparare, ma che Gigi incalzava e riempiva di domande, con il fuoco della curiosità che permetteva a lui solo, in poche ore, di oltrepassare l’oceano e perlustrare Brasile, Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Colombia, Messico: non solo per scoprire i segreti dei sistemi giuridici dei paesi dell’America Latina, ma anche le turbolenze sociali, le traversie politiche, i costumi, il cibo, le letterature. Ricordo bene – a lo ricordano Antonio Baylos, Joaquíín Apparicio e Andrea Lassandari – il giudizio più ricorrente espresso dai latinoamericani dopo le lezioni di Gigi: “me encantó!”.
Come ha scritto nel suo elegantissimo francese un maestro del diritto del lavoro europeo, Antoine Lyon Caen – che ha riconosciuto proprio a Gigi Mariucci e a Gian Guido Balandi, il merito di avergli aperto le porte dell’Italia del lavoro e dei suoi raffinati giuristi – “Gigi era un mèlange raro di profondità e leggerezza, di rigore e d’immaginazione, di semplicità e sofisticatezza”.
Del resto, non era meno sfaccettato sul piano umano: sospendeva il ragionamento più ruvido e inflessibile per regalarti un sorriso e una morbida carezza sul volto, riprendendone le fila con la stessa determinazione di prima (ma avendoti dato un motivo in più per seguitarne le volute e gli sviluppi, fino alla strettoia finale).
Antoine ha giustamente detto di lui che “sfuggiva a tutte le definizioni”.
Ècco. Gigi Mariucci era un fuori-classe (col trattino). Ma – aggiungo io – era certamente anche un grande fuoriclasse (senza trattino). Cos’altro suggerisce la circostanza che se ne sia andato lo stesso giorno di Paolo Rossi, indimenticabile campione dei mondiali dell’82 dopo che – per un assurdo equivoco incorso nella rete di comunicazione sulle sue condizioni di salute – era parso andarsene già il 25 novembre scorso, insieme a Diego Armando Maradona?!
La cabala racconta il vero: Gigi Mariucci era un fantasista del diritto del lavoro, provvisto di un’inquietudine sul “che fare” che sempre assilla gli spiriti più generosi e militanti. Èd era ossessionato dall’interrogativo che attanaglia i grandi intellettuali che hanno vissuto a cavallo tra il secolo del lavoro e quello della globalizzazione: discernere, in una stagione di grandi trasformazioni, tra le novità vere e quelle solo apparenti, come la presunta eclissi del lavoro subordinato cui non ha mai creduto; distinguere tra ciò che è transeunte, contingente, provvisorio...e ciò che è destinato a durare, a permanere, a scavare un solco: un solco in cui valga la pena guardare, per capire se può esservi piantato e fatto crescere un seme nuovo.
È ciò che ha sempre fatto nella redazione di Lavoro a Diritto – la rivista che ha contribuito a far nascere assieme a Umberto Romagnoli e Gian Guido Balandi, il compagno di viaggio con cui ha sostato in tutte le stazioni che contano – invitando i più giovani a interessarsi alla contingenza, al presente, persino alla cronaca...senza esserne catturati; guardare alla novità normativa senza indugiare sull’esegesi, provando a coltivare pensieri lunghi, dotati di retrospettiva e, al contempo, di prospettiva.
Èd è, esattamente, ciò che ha fatto, solo pochi mesi fa, suggerendo alla Labour Law Community, l’associazione di giuslavoristi cui aveva appena aderito, di lanciare un call for paper sulla pandemia Covid, senza sapere che, tra le cose destinate a durare, questa maledetta pandemia ci avrebbe lasciato la sua assenza e il suo ricordo.
Di altri autorevoli giuslavoristi ci si è chiesto se fossero giuristi prestati alla politica o politici venuti dal diritto. Ebbene, per Gigi il dilemma non merita d’esser posto. Luigi Mariucci aveva, certamente, la stoffa del giurista di spessore e, con altrettanta certezza, quella del politico di razza. Tanto che scelse di conciliare queste due attitudini tramite una disciplina, il diritto del lavoro, della quale gli ho sentito dire cose straordinarie (senza trattino). Tale resta l’idea del diritto del lavoro come finestra sul mondo delle trasformazioni sociali.
“Per Gigi – ha scritto Adalberto Perulli, collega veneziano di scuola bolognese, con cui il Prof. Mariucci ha condiviso molti anni di studio e insegnamento – il diritto del lavoro era questo: “non un microcosmo normativo auto-concluso ma una finestra sul mondo, in cui si agitano piccoli e grandi avvenimenti, e tutti ruotano attorno alle grandi questioni di valore che lui interpretava attraverso la politica, la sua vera grande passione e impegno civile”. E Gigi – badate – era il primo ad ammetterlo. Tanto da dire cose stra-ordinarie (col trattino) come riconoscere che per lui il diritto del lavoro stava alla politica “un po’ come il metadone sta all’eroina per il tossicodipendente”. Il che dovrebbe dare misura del grado di passione (e financo di dipendenza) che Gigi nutriva per la politica ... ma, al contempo, segnalare con quanta efficacia il diritto del lavoro sia riuscito a sedare quella febbre, dandogli uno sbocco scientifico, peraltro di altissimo profilo.
Qualcuno si chiederà se ne parlo in questi termini perché ne ero allievo. Ebbene, mai lo sentirete dire a me. Mai lo sentirete dire a qualcuno che non sia intollerabilmente presuntuoso. Gigi, infatti, non aveva allievi. Amava dire: “i miei allievi sono i migliori allievi degli altri”. Per la mia generazione, dunque - come capirete - essere considerati allievi di Luigi Mariucci era una segreta speranza coltivata dopo un buon intervento, un saggio ben riuscito, un’intuizione ricostruttiva. E solo a condizione che l’esito della riflessione potesse prestarsi a spingere il mondo un pelino più in là, dove reclamano diritti e tutele le persone che sono costrette a lavorare per vivere: quelle che – come Gigi ci ha insegnato – possono essere più libere, benché subordinate, anche grazie a un giurista del lavoro che fa bene il suo mestiere".