Comunicati stampa

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Consiglio comunale, l'intervento d'inizio seduta della consigliera Gabriella Montera

Di seguito l'intervento d'inizio seduta della consigliera Gabriella Montera (Partito Democratico). "Maltrattamenti agli anziani e alle anziane nella struttura Nino AureliaIn questi giorni abbiamo letto ripetutamente della “Casa famiglia”,...

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Di seguito l'intervento d'inizio seduta della consigliera Gabriella Montera (Partito Democratico).

"Maltrattamenti agli anziani e alle anziane nella struttura Nino Aurelia

In questi giorni abbiamo letto ripetutamente della “Casa famiglia”, situata a Monteveglio, ex municipio del Comune di Valsamoggia, dove sono state scoperte vessazioni e atti di inaudita violenza a danno delle anziane e degli anziani ospitati.
Siccome stiamo attraversando una fase drammatica per la salute pubblica a causa della pandemia, che come sappiamo affligge in maniera grave, spesso letale, proprio la popolazione anziana, ritengo molto importante fare un focus sulle strutture di cui si parla, per stigmatizzare e denunciare questi comportamenti raccapriccianti e intollerabili, ma anche per evitare che l’informazione, in alcuni casi sommaria, possa diffondere panico, inducendo così a considerare pericolose e poco affidabili tutte le strutture di accoglienza.
Anzitutto la “Casa famiglia” o la “Casa di riposo” (come viene definita in alcuni articoli) “Nino Aurelia”, non è più ubicata a Monteveglio, ma a Zocca, dove si è trasferita nel marzo scorso.
E poi è fondamentale precisare che questa agghiacciante scoperta dei NAS, effettuata su segnalazione di alcuni familiari degli anziani, riguarda un’attività esercitata e gestita dall’imprenditrice, titolare della struttura che azzarderei definire “fai da te”, perché, a quanto si legge, non risponde a nessuna tipologia di accoglienza per anziani.
Se consideriamo che le Case famiglia sono nate dentro un sistema integrato e a rete di servizi rivolti alla popolazione anziana, per consentire, grazie alla presenza di piccoli gruppi, l’accoglienza in una dimensione simil-familiare, la partecipazione alla vita domestica e la possibilità di mantenere i legami con i propri congiunti, tutti elementi determinanti per aiutare l’autonomia delle persone, è evidente che siamo di fronte all’esercizio di un’attività abusiva, totalmente irrispettosa di ogni regola, con comportamenti odiosi di abusi e maltrattamenti, che non a caso sono sotto .
Le funzioni delle Case famiglia sono definite dalla normativa regionale (che risale al 2000), e riprese dalle recenti direttive emanate nel 2018 dalla Regione Emilia-Romagna e dall’ ANCI, con la collaborazione delle Organizzazioni Sindacali, le Associazioni di pazienti e famigliari, esperti dei Comuni e delle Aziende Usl, Comitati Consultivi Misti.
Si tratta di linee guida emanate a seguito della crescita considerevole delle Case famiglia nel territorio regionale (dati del 2018: circa 400, con una accoglienza di circa 2.200 persone) per tutelare la sicurezza degli ospiti e delle ospiti - spesso in condizioni di fragilità - e dei loro familiari, e per indicare i requisiti minimi da possedere al fine di poter avviare l’attività.
Le direttive sono state messe a disposizioni dei Comuni e delle ASL, a supporto dello svolgimento di attività così significative per il welfare delle comunità locali, per favorire nei vari territori l’adozione di specifici regolamenti, il più possibile omogenei, a cui i gestori delle Case famiglia devono attenersi.
Sono strutture per l’appunto di tipo familiare, dalla capienza massima di sei persone autosufficienti o in condizione di lieve non autosufficienza, con bassa intensità assistenziale, mentre nel caso di cui parliamo le persone erano nove, una delle quali deceduta dopo il ricovero in ospedale a Bazzano. Queste persone (leggiamo sempre sulla stampa) venivano gestite “in condominio” con una struttura alberghiera a Zocca, dove parte degli anziani erano stati spostati.
Tornando alle direttive emanate da Regione e da Anci, la Città Metropolitana di Bologna è stata solerte, predisponendo il regolamento per tutti i Comuni, e nel luglio del 2019 anche questo Consiglio comunale ha adottato il proprio regolamento per la gestione delle Case famiglia.
A Bologna sono soltanto 4 le Case famiglia, ospitano complessivamente 23 persone e il nostro Comune ha stipulato con esse una convenzione per permettere il mantenimento delle persone indigenti.
In una città come Bologna sono davvero poche, molto presumibilmente perché il costo degli affitti incide parecchio sull’attività da intraprendere e tutt’oggi non risultano richieste di apertura di nuove Case famiglia.
Oltre alle Case famiglia, le altre tipologie previste dalla normativa regionale sono le Case di Riposo (che possono avere un massimo di 120 posti residenziali), le Comunità Alloggio, che per semplificare potremmo definire Case di Riposo più piccole (massimo 12 ospiti), e le CRA, Case Residenza per Anziani non autosufficienti (massimo 60 posti, con nuclei di 20/30 persone). Per queste ultime, oltre al riconoscimento della commissione, i Comuni possono rilasciare l’accreditamento sia a soggetti pubblici che privati, avvalendosi ovviamente di un ulteriore supporto tecnico-sanitario e tramite una programmazione che viene proposta dal nostro Ufficio di Piano al Comitato di Distretto, che si esprime nel merito.
Per tutte le strutture citate, tranne che per le Case famiglia, è previsto che i Comuni ne validino le attività concedendo l’autorizzazione all’esercizio, previa istruttoria svolta da una commissione socio-sanitaria.
Per le Case famiglia non è richiesta l’autorizzazione, ma dal 2018 per iniziare l’attività bisogna presentare la SCIA (Segnalazione di inizio attività). Come sappiamo La SCIA sostituisce tutti gli atti di autorizzazione, il cui rilascio dipende esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti previsti dalle norme (i requisiti professionali e morali dell’imprenditore, l’idoneità dell’immobile sotto i diversi profili urbanistico, edilizio, di agibilità e destinazione d’uso, igienico.
Perché ho fatto un elenco così dettagliato su una vicenda che non riguarda il territorio comunale? Per capire come funziona il sistema regionale di cura e accoglienza dei nostri anziani, e offrire un quadro conoscitivo, che può aiutare ad inquadrare episodi di inaudita gravità come quelli che sono balzati all’onore della cronaca in questi giorni. Oggi, attività come quella di cui parliamo, non nascerebbero per mancanza dei requisiti di base richiesti dalla SCIA.
Molto bene hanno fatto le organizzazioni sindacali: SPI CGIL, FNP CISL e UILP UILM a costituirsi parte civile nel processo “Nino Aurelia” e a chiedere con forza alle istituzioni di mettere in atto azioni di stretto controllo per verificare le condizioni di vita degli anziani, con particolare attenzione alle strutture con poche persone, dove è più difficile esercitare il controllo anche fra colleghi, a causa del ridotto numero di dipendenti.
Concludo facendo un accorato appello alla magistratura e alle forze dell’ordine perché possano procedere nelle attività di rispettiva competenza, che purtroppo si sono dimostrate più volte necessarie nelle strutture di cura delle persone più vulnerabili e un appello all’intero sistema socio sanitario, per mettere in campo tutte le possibili azioni per prevenire questi intollerabili comportamenti".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:49
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