Comunicati stampa

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Question Time, chiarimenti sulle ricadute dell'emergenza sanitaria sull'occupazione femminile

L'assessore Marco Lombardo, ha risposto, in seduta di Question time, alle domande d'attualità delle consigliere Simona Lembi (Partito Democratico) e Paola Francesca Scarano (Lega nord) sulle ricadute dell'emergenza sanitaria sull'occupazione f...

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L'assessore Marco Lombardo, ha risposto, in seduta di Question time, alle domande d'attualità delle consigliere Simona Lembi (Partito Democratico) e Paola Francesca Scarano (Lega nord) sulle ricadute dell'emergenza sanitaria sull'occupazione femminile.

Domanda della consigliera Lembi
"Visti gli articoli di stampa chiede cortesemente al Sindaco e alla Giunta un'opinione politico -amministrativa sulla campagna messa in atto dalle consigliere di parità, d’ intesa con l’ispettorato del lavoro. Chiedo quale sia la situazione in essere in Comune a Bologna, quali le azioni intraprese in merito e se si intende sostenere e promuovere la campagna in oggetto".

Domanda della consigliera Scarano
"Sono le donne ad aver pagato le maggiori conseguenze dell'emergenza COVID 19. Sono a chiedere al Signor Sindaco ed alla Giunta un parere politico amministrativo in senso generale e più in particolare vorrei conoscere come si è comportata l'amministrazione durante il COVID 19 nei confronti delle donne che prestano la loro preziosa opera presso il Comune di Bologna e che per l'emergenza sanitaria sono state costrette a lavorare da casa. Vorrei anche apprendere dalla Giunta se è intenzione di sostenere la campagna di informazione sulle opportunità e le regole sul lavoro. Vorrei infine anche avere notizie da parte della Giunta su come è stata gestita la questione smart working ed emergenza sanitaria considerato che diversi settori dell'amministrazione - che non prestavano servizi alla cittadinanza - hanno comunque continuato a lavorare presso i propri uffici mentre ad altri settori è stato preclusa la scelta di potersi recare in ufficio".

Risposta dell'assessore Lombardo
"Grazie presidente, ringrazio le consigliere per le domande che mi vengono rivolte che mi danno la possibilità di esprimermi rispetto alla campagna promossa dalle consigliere di pari opportunità, dell’Ispettorato del Lavoro, che riguardano anche i numeri dalle dimissioni dal lavoro delle lavoratrici appena diventate mamme o dei lavoratori neo papà, e quindi fare un punto di riflessione sullo stato del mercato del lavoro, in particolare dell’occupazione femminile in Italia e in particolare nel nostro territorio. Sapete, è un punto che in diverse occasioni ci ha visto confrontarci, dialogare tra Giunta e Consiglio comunale nella comune volontà di fare del tema dell’occupazione femminile una priorità di questo mandato amministrativo. Dall’altra parte una valutazione dello smart working, dell’applicazione dello smart working e anche su come, diciamo, lo smart working può essere opportunamente utilizzato come uno strumento di miglioramento delle attività ma anche di quali possono essere i rischi relativi a questo strumento soprattutto quando viene utilizzato in maniera distorta. Parto quindi dal primo dato, qualche giorno fa sono stati emessi i numeri del 2019 che parlano di 37.611 lavoratrici che si sono dimesse dal lavoro appena diventate mamme, laddove sempre nel 2019 il numero dei lavoratori che si erano dimessi dal lavoro appena diventati neo papà era di 13.946. Il rapporto, come potete vedere, è di tre a uno e sono dati che purtroppo ci danno una fotografia nazionale impietosa, dove è pur vero che si parla di dimissioni volontarie, ma per i motivi che sono stati espressi negli interventi delle consigliere, di volontario c’è poco o nulla, perché in verità nell’assenza di servizi e nella difficoltà, nella conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro che si misura questo spread di disuguaglianza tra donne e uomini lavoratrici, che quindi non possono godere appieno di quella stagione meravigliosa che è la neo genitorialità e che sono costretti a dover scegliere tra la famiglia e la propria passione lavorativa, la propria inclinazione professionale, la propria carriera.
Sono dati che ci danno una fotografia del mercato del lavoro italiano, ricordo che sempre di fronte ad una domanda della consigliera Lembi, all’indomani della ripresa delle attività, facevamo una fotografia di qual è la categoria di persone che sta tornando al lavoro, e se vi ricordate l’identikit era quello di un uomo tra i 35 e i 45 anni, maschio, come dire la fotografia proprio delle diseguaglianze nel mercato del lavoro. Ho sempre detto che il dato del 3,3% del tasso di disoccupazione raggiunto dal Comune di Bologna, lo ricordo il tasso più basso in tutta Italia, motivo di vanto e di orgoglio di questa Amministrazione, era il consolidamento del primo posto in Italia sui livelli di occupazione femminile. Proprio perché questo ci porta a dire un ragionamento che abbiamo sempre più volte fatto, ovvero che non è vero che il lavoro femminile costa di più in Italia, ma che più aumenta il tasso di occupazione femminile, più aumenta la produttività di un territorio e quindi più aumentano i tassi di occupazione femminile, più il territorio non è solo coeso al proprio interno, ma è anche più produttivo. Da questo punto di vista, il tema dello smart working può presentarsi come un rischio o come un’opportunità. Io ho più volte modo di parlarne e devo sempre ricordare che, ne parlo in qualità di assessore al Lavoro e quindi rispetto al tavolo dello smart working - riguardando, e la consigliera Scarano lo sa molto bene, i temi relativi all’utilizzo dello smart working per i dipendenti le competenze del direttore generale, per cui limitandomi a quelle che sono le mie competenze, le mie prerogative -, io ho sempre affermato che lo smart working deve essere utilizzato in maniera propria e non in maniera impropria. Cosa voglio dire? Voglio dire che non basta lavorare da casa per essere in smart working, il lavoro obbligatoriamente svolto da casa è stato definito impropriamente smart working o lavoro agile, quando in realtà di smart e di agile non aveva quasi nulla, e anche qui basti pensare alla fatica che i genitori, madri e padri, hanno avuto nello destreggiarsi tra lavoro, accudimento dei figli, supporto alla didattica distanza, nella difficoltà di vivere, di convivere in spazi ridotti. In alcuni casi, appunto, sarebbe stato più opportuno parlare di home working, lavoro in remoto da casa oppure extreme working, lavoro estremo. Anche perché lo smart working non vive di imposizioni, non può essere un obbligo per il lavoratore, come è stato in questa fase di emergenza di eccezionalità, ma al contrario si basa su un patto volontario tra dipendente e datore di lavoro, alla cui base c’è fiducia e le cui parole chiave sono l’autonomia e la responsabilità. Ovvero, non si tratta semplicemente di una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che utilizza il digitale, ma si tratta essenzialmente di un cambio di paradigma culturale nell’organizzazione dell’attività. Ed è per questo che il tavolo smart working, con il Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, era già un’esperienza avanzata a livello nazionale, raccoglieva 40 organizzazioni e circa 110 mila lavoratori prima del lockdown. Successivamente a questa fase siamo arrivati a 53 organizzazioni tra pubblico e privato che rappresentano 160 mila lavoratori. È stata fatta una survey proprio rispetto a chi ha utilizzato lo smart working per la prima volta in questa fase, anche per coglierne le criticità e le opportunità, le opportunità si misurano ad esempio in termini di sostenibilità ambientale. Pensate solo al risparmio di CO2 che viene fatto in luogo degli spostamenti casa-lavoro, risparmi in termini di tempi, mediamente di un’ora al giorno il risparmio che si fa in assenza di mobilità tra casa e luogo di lavoro. E d’altra parte, l’ho espresso qualche giorno fa sulla stampa locale, a mio avviso bisogna trovare un equilibrio tra gli elevati numeri di persone in smart working, diciamo, dopo la fase di emergenza, e quella che invece è regolare, a mio avviso, equilibrato utilizzo dello smart working che dovrebbe attestarsi sul 20% del totale dei lavoratori. Con un rapporto che indichi quali sono le performance che si chiedono ai lavoratori, proprio per evitare da un lato che si ragioni su singoli target, dall’altro che sia solo una diversa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa senza invece cogliere le opportunità che lo smart working hanno nella riorganizzazione delle attività. Espone anche ad un salto di mentalità dei datori di lavoro, siano essi pubblici o privati, cioè bisogna far passare dalla fase del controllo alla fase della delega sulla fiducia, che significa misurare gli indici di performance sulla base di obiettivi, che si danno appunto come performance per valutare la qualità. Come potete capire obiettivi molto ambiziosi da raggiungere già nel settore privato, ancor di più nel settore pubblico che è più legato al procedimento che non alla realizzazione di risultati o alla misurazione dell’indice di performance. Da questo punto di vista devo dire che c’è, rispetto all’utilizzo sperimentale del progetto VeLa (Veloce, leggero, agile) del Comune di Bologna, sia rispetto al piano della performance che è stato fatto nel Comune di Bologna, sicuramente uno stato più avanzato rispetto al resto dei comuni italiani. Quindi per concludere, a mio avviso, c’è da stare molto attenti sul tema di evitare che la ripresa, questa faticosa ripresa, possa portarci indietro sulle conquiste che sono state fatte sui livelli di occupazione femminile. Evitare che le disuguaglianze ricadano proprio sulle donne e quindi ci sarà sostegno e condivisione sull’iniziativa delle consigliere di Pari Opportunità e attraverso le iniziative e le udienze conoscitive, le attività in commissione, starò sempre molto attento affinché il tema della qualità dell’occupazione, in particolare dell’occupazione femminile, siano un obiettivo e un impegno comune da parte di questa amministrazione".

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:48
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