Consiglio comunale, l'intervento d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni
Di seguito, l'intervento d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni (Coalizione civica). "Fare e non fare in tempo di pandemia (Una rubrica settimanale)Grazie Presidente. Sono certo che vorrete perdonarmi se, pur nel rispetto del regolamento...
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Di seguito, l'intervento d'inizio seduta del consigliere Federico Martelloni (Coalizione civica).
"Fare e non fare in tempo di pandemia (Una rubrica settimanale)
Grazie Presidente. Sono certo che vorrete perdonarmi se, pur nel rispetto del regolamento del consiglio comunale, inauguro oggi una Rubrica. Mi spiego.
Gli interventi d’inizio seduta si legano – come noto – ad una notizia d’attualità. Ma ci stiamo accorti – e lo abbiamo visto anche negli interventi d’inizio seduta di oggi – che, in tempo di Pandemia, la notizia è innanzitutto questa: il Coronavirus e i suoi effetti sulle nostre vite.
Ebbene, noi di Coalizione civica ci siamo accorti anche di un’altra cosa: il grande assente, in quest’aspra stagione funestata da lutti vissuti in drammatica solitudine, in un periodo di necessaria segregazione domiciliare e doverosa assenza di ogni contatto sociale – il grande assente – dicevo – è la politica. Intesa come riflessione di medio periodo e ampio respiro.
È il sovrano che decide dello stato d’eccezione, certo. Ma ciò non significa, ciò non può significare soppressione del dibattito pubblico, impoverimento dei punti di vista, rinuncia e censura all’attivazione di comunità solidali – come dimostra l’intervento della consigliera Clancy – e all’attivazione di pensiero politico. Perché – come è stato ben scritto sull’ultimo numero della rivista Jacobin – “Nella grande crisi che stiamo vivendo, quella dell’epidemia del covid-19, sembra essere arrivato al massimo livello un processo che mai avevamo visto in questa evidenza: la scomparsa della politica”. Scompaiono i corpi intermedi, a favore del rapporto diretto leader-popolo, sia esso un leader di maggioranza, di opposizione o sia il premier che anticipa i provvedimenti normativi parlando direttamente agli elettori. Scompare il parlamento, quasi a dire che quando il gioco si fa duro, il parlamento va in vacanza. Scompare la dimensione collettiva come possibilità di porsi i problemi, analizzarli e affrontarli collettivamente per uscirne insieme.
Per questo motivo, da oggi e per 8 lunedì consecutivi, svolgerò 8 interventi d’attualità con il medesimo titolo, dando seguito alla RUBRICA che inauguro oggi: “COSA FARE E NON FARE IN TEMPO DI PANDEMIA”. Con tutta la modestia e umiltà di cui sono capace. Ma anche col coraggio di rendere noto un punto di vista frutto di confronto e discussioni con i miei compagni e le mie compagne.
Oggi credo vadano affrontate due questioni, importanti e urgenti. A partire da due domande.
I) È giusto chiudere le attività produttive? È giusto fermare un intero Paese, comprendendo le attività produttive che hanno valore strategico per l’economia nazionale e a più altro valore aggiunto, come le imprese siderurgiche e metalmeccaniche, dapprima comprese e, in un secondo tempo, espunte dall’elenco delle attività NON essenziali destinate a fermarsi? La mia, la nostra risposta è SI, è GIUSTO! Checché ne pensi Confindustria.
Lo dice il delicato equilibrio raggiunto in Costituzione. Quando la carta costituzionale riconosce, all’art. 41, che l’iniziativa economica privata è libera (art. 41) precisa, subito dopo, che essa “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o – soprattutto – in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Era dunque GIUSTO chiudere tutte le attività comprese nella prima bozza di decreto annunciato sabato sera dal premier Conte mentre è stato sbagliato comprimere quell’iniziativa dopo le scomposte pressioni di Confindustria. La salute dei cittadini e quella di lavoratori e lavoratrici non è in vendita: deve venire prima di tutto.
II) Seconda questione: è giusto chiedere l’intervento dell’Esercito – come è improvvidamente avvenuto anche da parte di qualche assessore della Giunta – per assicurare il rispetto delle norme (giustamente) restrittive sulla mobilità delle persone? La mia, la nostra risposta è NO, non è giusto!.
Ricordo che la smilitarizzazione della polizia rappresentò un elemento essenziale di democratizzazione della società, anche nei passaggi più delicati ed emergenziali della storia del Paese. Ebbene, io credo da un lato che su questo fronte non si possa fare alcun passo indietro, anche indiretto, in nessuna fase. Dall’altro, credo che proprio in fasi come quella che viviamo, quando bisogna rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, la militarizzazione non sia la strada giusta. Il Paese non ne ha alcun bisogno. Tantomeno ne hanno bisogno Bologna e i bolognesi".