Commemorazione nel trigesimo della scomparsa di Giorgio Guazzaloca, l'intervento del professor Carlo Monaco
Il Consiglio comunale di Bologna ha ricordato oggi Giorgio Guazzaloca, sindaco di Bologna dal 1999 al 2004, nel trigesimo della scomparsa. Di seguito l'intervento del professor Carlo Monaco. "Signor Sindaco, presidente e consiglieri comunal...
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Il Consiglio comunale di Bologna ha ricordato oggi Giorgio Guazzaloca, sindaco di Bologna dal 1999 al 2004, nel trigesimo della scomparsa. Di seguito l'intervento del professor Carlo Monaco.
"Signor Sindaco, presidente e consiglieri comunali, autorità e cittadini presenti,
la morte di Giorgio Guazzaloca ha suscitato una emozione forte e profonda in tutta la nostra città. Anche in occasione dei funerali abbiamo potuto constatare quanto grande sia la stima verso di lui, non solo da parte dei suoi sostenitori, ma anche di coloro che lo avevano contrastato duramente sul piano politico. Il che, sia detto per inciso, conferma quanto di innaturale e di ingiusto vi sia in quella concezione e pratica della politica intesa come antagonismo e litigiosità al massimo grado, soprattutto in nome di ideologie e fanatismi. E’ proprio contro una tale pratica che Guazzaloca ha combattuto tutta la sua vita pubblica .
Questa cerimonia in Consiglio comunale, in occasione del trigesimo della morte, è prima di tutto un momento per rinnovare alla famiglia, a Egle, Giulia e Grazia, ai parenti e amici la partecipazione sincera al loro dolore, ma anche una prima occasione per riflettere un po’ più laicamente sulla personalità di Guazzaloca, sulle sue qualità di uomo e di cittadino e sulla sua esperienza di sindaco.
Chi lo ha conosciuto da vicino ha potuto facilmente constatare che, sotto un aspetto apparentemente burbero, e a tratti persino scontroso, si celava una socievolezza squisita, una connaturata tendenza a cercare nelle relazioni umane i tratti di una autenticità profonda, sapendo giudicare le persone non tanto dalla esteriorità dei titoli e dei formalismi ma per ciò che esse valevano veramente. Detestava i luoghi comuni e le frasi fatte, il nulla che si nasconde dietro un dialogo del tipo: come va? bene, e tu? E soprattutto non tollerava l’opportunismo, la finzione delle doppie verità, tanto diffuso nel mondo della politica ma anche nella vita quotidiana.
La profondità dei suoi affetti familiari traspariva moltissimo dalle sue parole.
Ricordava spesso sua madre come portatrice di valori morali e civili solidi e suo padre come modello di un principio di realtà basato sull’etica della responsabilità e del lavoro. Proprio suo padre lo volle vicino a sé come apprendista macellaio quando era ancora adolescente. Lo imponevano le condizioni economiche e sociali di quel dopoguerra. Quel lavoro, quel mestiere, quella moralità sono stati il motivo di orgoglio più profondo della sua vita. E’ diventato il presidente dei macellai italiani e a questo titolo è rimasto sempre molto affezionato. Certamente gli dispiaceva non poco aver dovuto interrompere gli studi tanto precocemente ma si rendeva conto che suo padre gli aveva insegnato di più di qualunque scuola. Me lo confidò chiaramente quando, e lui era già sindaco, lo accompagnai al funerale di suo padre.
Ma a quanti usarono quel nome “macellaio” come un aggettivo diminutivo, voglio ricordare che Giorgio Guazzaloca amava la conoscenza: si costruì da lettore e studioso autodidatta una sua solida cultura storico- politica e anche letteraria. Era orgoglioso di aver portato a Bologna scrittori e registi come Fellini, Moravia e tanti altri agli incontri nei giardini Margherita organizzati quando era presidente dell’associazione dei commercianti. E tra le prime iniziative che fece come sindaco ci fu l’istituzione di un premio letterario dedicato al troppo dimenticato scrittore bolognese Riccardo Bacchelli.
Conosceva e amava molti personaggi della cultura italiana tra gli anni del fascismo e del dopoguerra. Ma aveva scelto i più anticonformisti, coloro che non facevano parte di chiese né religiose né politiche. Poeti come Vincenzo Cardarelli o Trilussa, scrittori ironici e taglienti come Ennio Flaiano , Curzio Malaparte e Leo Longanesi, il vero padre di questi spiriti liberi. Emblematica diventò la sua amicizia con un giornalista come Indro Montanelli, al quale volle conferire la cittadinanza onoraria di Bologna.
La sua visione della politica si rifaceva al pensiero laico più profondo, quello in cui anche la presenza di qualche tono anticlericale non sconfinava mai in un laicismo dogmatico. Amava Salvemini, Ugo la Malfa e Adriano Olivetti. Pensatori liberi e isolati, spesso scomodi e sempre stretti tra le due chiese che dominavano la vita culturale e politica in Italia.
Fu veramente orgoglioso quando a Bologna fummo tra i primi in Italia a rivalutare, con una significativa iniziativa pubblica, il ruolo dei soldati e ufficiali italiani massacrati dai nazisti a Cefalonia nel 1943. Per questo ricevette dapprima l’elogio di Montanelli e poi l’appezzamento del presidente della repubblica Ciampi in visita a Bologna.
Guazzaloca amava polemizzare, anche aspramente, contro tutti quegli intellettuali che si rivelavano conformisti e privi di spirito critico. Gli piaceva definirli radical-chic. Gli apparivano prima di tutto come persone benestanti che preferiscono vivere nel lusso e nella comodità, cha amano soprattutto i salotti borghesi, che trovano facilmente pubblicità gratuita diretta e indiretta sui mass-media, che esibiscono la loro cultura come biglietto da visita per carriere sociali e che, per compensare tutto questo e proteggere la propria cattiva coscienza, si rivestono di un antagonismo di facciata che si nutre di enfasi morale esibita come una bandiera.
Devo confessare che proprio queste convinzioni sono state forse la ragione vera per cui il mio legame personale con lui è stato subito fortissimo. A coloro che talvolta gli chiedevano perché non mi avesse nominato assessore alla cultura rispondeva che chi è colto non ha bisogno di dimostrarlo con tale carica pubblica mentre chi è ignorante resta tale anche se diventa assessore alla cultura.
Amava tantissimo il cinema. E’ stato molto lieto di avere come ospite in questo nostro municipio il grande Alberto Sordi e di poter acquisire alla nostra cineteca tutto il materiale di Laura Betti e di Pasolini e quello del nostro concittadino Gino Agostini. Non nascondeva la sua grande ammirazione per John Wayne. Un vero mito, che solo gli ingenui cercavano di leggere in senso maschilista e autoritario, mentre lui era capace di scherzarci con leggerezza.
Perché la sua qualità massima era l’ironia. Si tratta di una arte rara e sublime, che si manifesta, aldilà delle battute e degli scherzi, di cui per altro Guazzaloca era maestro, soprattutto nella capacità di non prendersi mai troppo sul serio. Proprio su questo terreno nacque e si rafforzò una profonda amicizia personale con il cardinal Biffi che durò con frequentazioni e incontri fino alla morte dell’arcivescovo.
Guazzaloca era attaccato a Bologna, la sua città, in modo quasi simbiotico. Amava andare a spasso per il centro, guardare piazza Maggiore e sorseggiare lunghi caffè nei suoi bar, e ammirare ogni luogo e ogni angolo del centro cittadino. Ne conosceva la storia e i dettagli. Da presidente dei commercianti aveva mobilitato commercianti e cittadinanza per l’illuminazione dei portici e della basilica di San Luca. E di questo andava molto fiero. Da sindaco seguiva direttamente i progetti di manutenzione urbana, di arredo urbano, di rifacimento dei portici e delle piazze e del loro abbellimento. Conosceva il dialetto come pochi e ricordava con nostalgia i personaggi famosi e modesti del passato. Amava il gioco del tresette con amici e lo giocava con abilità . Era legato al Bologna FC e conservava come reliquie i ritratti del mitico Bologna scudetto del 1964 e mantenne una costante amicizia con molti di essi, a partire dall’indimenticato Giacomo Bulgarelli. Diceva spesso con orgoglio di non essere quasi mai andato via da Bologna. Ironizzava spesso sui gusti e le abitudini di coloro che si dichiarano esterofili. Quando riceveva delegazioni straniere confessava il suo imbarazzo tra formalità rituali, traduzioni e genericità. Questo suo autentico amore per Bologna ha trovato modo di svilupparlo al meglio in tutto il suo curriculum professionale, soprattutto nella sua lunga attività di presidente dell’ Ascom prima, e poi della Camera di Commercio. Alla attività dei commercianti ha dato prestigio e da essi ha ottenuto grandi riconoscimenti fino al punto che il suo nome finiva per identificarsi con quelle attività lavorative. In quegli anni ha saputo riunire in uno spirito di collaborazione al servizio della città, le associazioni imprenditoriali cittadine con la nascita del Tavolo unico delle associazioni economiche.
Più volte Guazzaloca ha confessato che la massima aspirazione della sua vita pubblica è sempre stata quella di diventare sindaco di Bologna. Non deputato o senatore né ricoprire qualche altro incarico lontano dalla sua città. La carica di sindaco di Bologna sarebbe stata la sola capace di sintetizzare al meglio il suo profilo umano e personale con i suoi legami sociali più sentiti e profondi.
Il modo in cui egli è riuscito a realizzare questo obiettivo costituisce una lezione di politica che ha suscitato l’incredulità e l’ammirazione persino della stampa internazionale.
Innanzitutto egli era pienamente consapevole delle sue capacità amministrative. Spesso sottolineava che in politica serve prima di tutto la competenza. Non si capisce perché, diceva, qualunque altra attività umana, dall’idraulico al dottore, debba fondarsi sulla competenza professionale e quella politica possa farne a meno. Certo, la democrazia esprime in sé un valore assoluto, ma questo non può identificarsi inevitabilmente con il trionfo dei mediocri e a volte persino dei furbi e dei ciarlatani.
Egli, che apparentemente si presentava come un vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro, ha saputo muoversi con grande abilità tra i movimenti emergenti, di cui capiva le novità, e le forze politiche ben radicate nella tradizione della nostra città. Ha capito prima e meglio di altri la profondità della crisi che stava corrodendo le forme politiche figlie delle ideologie ottocentesche.
Proprio per queste ragioni Guazzaloca ha visto nella dimensione civica il vero perno del buon governo locale. Molto si è detto e scritto su questo tema. Oggi risulta quasi universalmente condivisa l’esigenza che il buon governo locale presupponga una sua specifica capacità di lettura della realtà di una comunità a prescindere dalle premesse ideologiche e dalle conseguenti deduzioni. Il suo slogan era: i problemi della città non sono di destra o di sinistra, ma sono i problemi che devono essere risolti.
Nello statuto della associazione la tua Bologna, che ho avuto l’onore di fondare assieme a lui e a tanti altri nostri amici e di presiedere per anni, era scritto chiaramente che potevano aderire alla associazione tutti i cittadini che ne condividessero il programma amministrativo, indipendentemente dal partito di appartenenza o di riferimento personale. Qualcuno vide in questo messaggio i segni del qualunquismo, ma si sbagliava.
Oggi, quasi vent’anni dopo quella esperienza, tutti riconoscono che lui aveva ragione. Nella costruzione di un programma per la città si oppose a quanti inneggiavano a un cambiamento radicale. Riuscì a far emergere il verbo “migliorare”. Le cose che vanno bene bisogna che continuino così come sono, mentre sono quelle che non vanno bene che devono essere cambiate. Ricordo una delle prime iniziative elettorali del 99. Eravamo al centro anziani Montanari, qualcuno gli chiese se era vero che divenuto sindaco avrebbe chiuso i centri anziani. Lui rispose con immediatezza e assoluta sincerità: “ e in questo caso. dove andrà a giocare mio padre?”
Tra le cose che non andavano, e che forse neppure oggi vanno bene a Bologna, come nelle maggiori città italiane, egli aveva individuato alcune priorità:
primo, la ingessatura politica locale dovuta alla mancanza di ricambio nelle classi dirigenti nel governo della città. Non era una critica specifica a un personaggio o a un altro di quel mondo politico, ma la constatazione, aldilà dello stesso giudizio sulle persone, era nota e sincera la sua ammirazione per il sindaco Dozza, che l’alternanza è una necessità fisiologica per la democrazia stessa;
secondo, si era creato in città un clima di insicurezza dovuto alla crescita dei reati, alla decadenza urbana dei luoghi pubblici e al disordine nell’arrivo di immigrati;
terzo, le strutture della mobilità erano invecchiate paurosamente ed era assolutamente urgente progettarne di nuove a partire dalla metropolitana;
quarto, la necessità di ridare centralità ai servizi offerti dalla multiutility bolognese. Nella trasformazione di Seabo e con la collocazione in borsa, durante il suo mandato, Hera diventò una delle prime realtà a livello nazionale.
Non è questa la sede per riprendere in modo analitico la sua esperienza amministrativa, ma mi pare di tutta evidenza che la lettura fatta allora da Giorgio Guazzaloca risulta ancora oggi di stringente attualità.
Su queste basi nel ‘99 vinse e diventò sindaco. Dopo la vittoria evidenziò soprattutto la saggezza della moderazione: nei festeggiamenti per quell’evento, nei rapporto con i dirigenti e dipendenti del comune che valutava sulla base delle capacità e non della appartenenza politica. Instaurò uno stile di lavoro sobrio e essenziale, basato sulla efficienza e sull’efficacia, cioè sui risultati. Scelse assessori sulla base di quel principio che lui riteneva migliore cioè la competenza e mantenne una evidente autonomia rispetto alle pressioni esterne e alle procedure talvolta consociative dei partiti.
Che tutto questo avrebbe incontrato resistenze, difficoltà e limiti, lui era il primo a rendersene conto. Egli era un maestro di realismo, non certo un ingenuo sognatore. Tutte le volte che mi poneva un problema mi chiedeva: quanto tempo ti serve per risolverlo?. Non è questa la sede per dare una valutazione compiuta sui risultati ottenuti e neppure sugli insuccessi. Qui volevo solo rendere omaggio a uno stile, a un metodo, ad alcune sue intuizioni, insomma a un uomo che ne è stato l’artefice e che, ora che non c’è più, ci ha lasciato una importante eredità.
A questo proposito voglio sottolineare da ultimo il modo in cui Giorgio ha affrontato la malattia che tanti anni dopo lo ha portato fino alla morte. Dice il grande Montaigne: ”non va mai attribuito all’uomo un giudizio definitivo sulla sua vita finché non lo si è visto recitare l’ultimo atto della sua commedia, che è senza dubbio il più difficile. Nel giudicare la vita altrui io guardo sempre come è avvenuta la fine”.
Guazzaloca scopri lo gravità della malattia che lo colpiva quasi contemporaneamente alla sua vittoria elettorale del ’99. E tutto il suo lavoro da sindaco e l’attività degli anni successivi lo ha fatto con la chiara consapevolezza della sua condizione. Non si è mai arreso. Non ha mai ridotto la sua volontà e capacità di lavoro.
Quando la situazione precipitò e fu ricoverato per la prima volta in ospedale, tutta l’opinione pubblica ne venne a conoscenza e ne rimase addolorata e sgomenta. Ma lui non si fermò. Qualcuno scrisse che aveva i giorni contati. E lui chiese a me: “ chi è quel filosofo che ha detto che tutti noi abbiamo i giorni contati?”. Gli risposi: “”è Montaigne. Per lui solo un uomo volgare riesce a vivere senza pensare alla morte”. Con la consueta ironia commentò: “ hai visto che non ho speso male i miei soldi a farti studiare?”.
Telefonava dall’ospedale ai suoi principali collaboratori per dare indicazioni di lavoro e suggerimenti. Tornò presto nel suo ufficio e più volte ho visto di persona lo sforzo che faceva per nascondere a tutti la sua sofferenza fisica. Ricordo lo stato grave di debolezza in cui si trovava quel 2 agosto del 2000 . Eppure, nonostante le sue condizioni di salute, egli non volle mancare alla manifestazione davanti alla stazione in ricordo della vittime della strage. E disse, come sempre faceva, le parole che la coscienza e il senso delle istituzioni gli suggerivano. Fino al momento della morte non ha mai smesso di mantenere una piena lucidità mentale; continuava a seguire le vicende della vita pubblica cittadina e nazionale, leggeva i giornali e li criticava, si informava ed esprimeva giudizi con la sua inossidabile saggezza e costante ironia.
Questo è stato Guazzaloca, cittadino e sindaco di Bologna, ma soprattutto un grand’uomo.
Mi torna in mente, a conclusione di questo mio ricordo, del quale ringrazio il sindaco Merola, il presidente e il consiglio comunale tutto, una abitudine che Guazzaloca aveva quando da sindaco presiedeva le riunioni della Giunta comunale. Ogni assessore doveva parlare in modo conciso e essenziale. Se qualcuno eccedeva, superati i cinque minuti egli lo guardava, sollevava la mano verso di lui e stringendo il pugno gli chiedeva: e quindi?
Ora, caro Giorgio, forse proprio questo stai chiedendo anche a me : “ hai parlato per oltre 20 minuti e quindi?” , “ E quindi, io volevo solo dirti, qui anche alla presenza dei tuoi familiari, che noi che ti abbiamo conosciuto ti ringraziamo, che terremo viva la tua memoria, che la tua Bologna, che tutta Bologna ti ringrazia e non ti dimentica”.