Consiglio comunale, intervento d'inizio seduta del consigliere Umberto Bosco
Si trasmette testo dell'intervento d'inizio seduta del consigliere Umberto Bosco (Lega Nord)."La notizia è circolata con una certa insistenza nelle varie testate giornalistiche ed è stata ampiamente commentata da esperti ed esponenti po...
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Si trasmette testo dell'intervento d'inizio seduta del consigliere Umberto Bosco (Lega Nord).
"La notizia è circolata con una certa insistenza nelle varie testate giornalistiche ed è stata ampiamente commentata da esperti ed esponenti politici di caratura locale e nazionale. I contorni e la veridicità del racconto sono ancora oggetto delle necessarie verifiche quindi eviterò di addentrarmi e di commentare la vicenda nello specifico.
Però episodi come questo, una volta depositato il polverone mediatico, necessitano un’attenta riflessione nonostante la tematica sia tra le più polarizzanti.
Dobbiamo prendere atto della realtà e ragionare insieme su quali soluzioni adottare per la nostra società.
Dobbiamo prendere atto che ci sono persone che scelgono di vivere qui nonostante provino un forte disprezzo per i valori di questa società.
Dobbiamo prendere atto che la presenza di queste persone non è equamente ripartita tra i vari gruppi etnici, ci sono culture di provenienza più simili o più conciliabili rispetto ad altre.
Dobbiamo prendere atto che alcune persone hanno il terrore di veder crescere i loro figli in seno ai valori di questa società, terrore che sovente si traduce in violenza e talvolta sfocia in omicidio.
Dobbiamo prendere atto di quanto sia limitato l’attuale margine d’azione delle istituzioni, provate a immaginare a quante ragazze, cresciute qua, ai primi segni di occidentalizzazione siano state spedite in bangladesh o in pakistan per essere riportate sui rispettivi binari culturali e magari costrette a un matrimonio combinato.
Dobbiamo prendere atto che per ogni Fatima che si ribella e finisce sul giornale ci sono migliaia di ragazze che si piegano alle imposizioni familiari e culturali.
Dobbiamo prendere atto che la violenza non è solo fisica, certe culture sono talmente intolleranti, talmente tradizionaliste, talmente chiuse che chi osa lasciarsi inquinare dalla cultura locale rischia seriamente di essere stigmatizzato ed emarginato dalla stessa famiglia e dalla stessa comunità nella quale è cresciuta.
Dobbiamo prendere atto che in questi casi le istituzioni sono pressoché impotenti.
Dobbiamo prendere atto che questi fattori rappresentano un forte deterrente all’integrazione.
e Dobbiamo prendere atto che la mancata integrazione, che avvenga per scelta deliberata o costrizione, rappresenta un fallimento per questa società perché chi non si integra è condannato a vivere in un’altra società; una società parallela che più passa il tempo più diventa chiusa, più diventa intollerante.
Dobbiamo ammettere, e rompo il ghiaccio facendolo per primo, che l’imperialismo culturale e l’etnocentrismo ci impediscono di capire e di governare la società di domani ma dobbiamo anche ammettere, e qua l’appello attraversa la sala, che anche il relativismo culturale è un ostacolo.
Aspettarsi che diverse culture, portatrici di valori tra loro antitetici, possano condividere pacificamente negli stessi spazi sociali è un’idea, per quanto romantica, irrealizzabile. Talvolta l’incontro tra culture è proficuo, altre volte conflittuale, talvolta produce progresso, altre volte involuzione. Saper distinguere, prevedere e governare questi diversi scenari è una delle sfide cruciali per il futuro.
Indossare il velo può essere una libera scelta.
Sono stato fidanzato per anni con una ragazza che il velo lo ha messo per scelta, nonostante i genitori, musulmani, glielo sconsigliassero.
Ma il fatto che una scelta possa essere libera, non significa che generalmente lo sia.
E’ davvero libera una scelta se il rifiuto della stessa conduce alla stigmatizzazione? All’emarginazione sociale?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo in un contesto dove l’ortodossia viene esaltata e l’anticonformismo demonizzato?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo se i casi di imposizione spuntano regolarmente?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo se fin da piccole si viene abituate a indossarlo?
I racconti di molte, troppe ragazze, che da queste imposizioni, religiose o culturali che siano, si affrancano, suggerirebbero di no.
Per questo mi piange il cuore quando sento paragonare il divieto di indossare il velo, all’obbligo di indossarlo.
Primo perché in molti stati a maggioranza islamica, il velo, quello integrale, è vietato.
Secondo perché i più fortunati e riusciti tentativi di modernizzazione e secolarizzazione avvenuti in contesti a maggioranza islamica sono passati anche dal divieto di indossare qualsiasi tipo di velo.
La cultura e il progresso, talvolta, vanno imposti. Altrimenti tanto vale mettere in discussione anche la scuola dell’obbligo.
Per queste ragioni presento un odg di cui chiedo la trattazione immediata. Si tratta di un testo già molto conciliante, aperto ad eventuali modifiche. Che condividiate o meno queste mie riflessioni vi invito a leggerlo con attenzione perché è il genuino tentativo di avviare un confronto costruttivo su un tema molto molto spinoso".
"La notizia è circolata con una certa insistenza nelle varie testate giornalistiche ed è stata ampiamente commentata da esperti ed esponenti politici di caratura locale e nazionale. I contorni e la veridicità del racconto sono ancora oggetto delle necessarie verifiche quindi eviterò di addentrarmi e di commentare la vicenda nello specifico.
Però episodi come questo, una volta depositato il polverone mediatico, necessitano un’attenta riflessione nonostante la tematica sia tra le più polarizzanti.
Dobbiamo prendere atto della realtà e ragionare insieme su quali soluzioni adottare per la nostra società.
Dobbiamo prendere atto che ci sono persone che scelgono di vivere qui nonostante provino un forte disprezzo per i valori di questa società.
Dobbiamo prendere atto che la presenza di queste persone non è equamente ripartita tra i vari gruppi etnici, ci sono culture di provenienza più simili o più conciliabili rispetto ad altre.
Dobbiamo prendere atto che alcune persone hanno il terrore di veder crescere i loro figli in seno ai valori di questa società, terrore che sovente si traduce in violenza e talvolta sfocia in omicidio.
Dobbiamo prendere atto di quanto sia limitato l’attuale margine d’azione delle istituzioni, provate a immaginare a quante ragazze, cresciute qua, ai primi segni di occidentalizzazione siano state spedite in bangladesh o in pakistan per essere riportate sui rispettivi binari culturali e magari costrette a un matrimonio combinato.
Dobbiamo prendere atto che per ogni Fatima che si ribella e finisce sul giornale ci sono migliaia di ragazze che si piegano alle imposizioni familiari e culturali.
Dobbiamo prendere atto che la violenza non è solo fisica, certe culture sono talmente intolleranti, talmente tradizionaliste, talmente chiuse che chi osa lasciarsi inquinare dalla cultura locale rischia seriamente di essere stigmatizzato ed emarginato dalla stessa famiglia e dalla stessa comunità nella quale è cresciuta.
Dobbiamo prendere atto che in questi casi le istituzioni sono pressoché impotenti.
Dobbiamo prendere atto che questi fattori rappresentano un forte deterrente all’integrazione.
e Dobbiamo prendere atto che la mancata integrazione, che avvenga per scelta deliberata o costrizione, rappresenta un fallimento per questa società perché chi non si integra è condannato a vivere in un’altra società; una società parallela che più passa il tempo più diventa chiusa, più diventa intollerante.
Dobbiamo ammettere, e rompo il ghiaccio facendolo per primo, che l’imperialismo culturale e l’etnocentrismo ci impediscono di capire e di governare la società di domani ma dobbiamo anche ammettere, e qua l’appello attraversa la sala, che anche il relativismo culturale è un ostacolo.
Aspettarsi che diverse culture, portatrici di valori tra loro antitetici, possano condividere pacificamente negli stessi spazi sociali è un’idea, per quanto romantica, irrealizzabile. Talvolta l’incontro tra culture è proficuo, altre volte conflittuale, talvolta produce progresso, altre volte involuzione. Saper distinguere, prevedere e governare questi diversi scenari è una delle sfide cruciali per il futuro.
Indossare il velo può essere una libera scelta.
Sono stato fidanzato per anni con una ragazza che il velo lo ha messo per scelta, nonostante i genitori, musulmani, glielo sconsigliassero.
Ma il fatto che una scelta possa essere libera, non significa che generalmente lo sia.
E’ davvero libera una scelta se il rifiuto della stessa conduce alla stigmatizzazione? All’emarginazione sociale?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo in un contesto dove l’ortodossia viene esaltata e l’anticonformismo demonizzato?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo se i casi di imposizione spuntano regolarmente?
E’ davvero libera la scelta di indossare il velo se fin da piccole si viene abituate a indossarlo?
I racconti di molte, troppe ragazze, che da queste imposizioni, religiose o culturali che siano, si affrancano, suggerirebbero di no.
Per questo mi piange il cuore quando sento paragonare il divieto di indossare il velo, all’obbligo di indossarlo.
Primo perché in molti stati a maggioranza islamica, il velo, quello integrale, è vietato.
Secondo perché i più fortunati e riusciti tentativi di modernizzazione e secolarizzazione avvenuti in contesti a maggioranza islamica sono passati anche dal divieto di indossare qualsiasi tipo di velo.
La cultura e il progresso, talvolta, vanno imposti. Altrimenti tanto vale mettere in discussione anche la scuola dell’obbligo.
Per queste ragioni presento un odg di cui chiedo la trattazione immediata. Si tratta di un testo già molto conciliante, aperto ad eventuali modifiche. Che condividiate o meno queste mie riflessioni vi invito a leggerlo con attenzione perché è il genuino tentativo di avviare un confronto costruttivo su un tema molto molto spinoso".