25 APRILE, DISCORSO DI SIMONA LEMBI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE
Si trasmette il discorso di Simona Lembi, Presidente del Consiglio comunale, tenuto ieri in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile.
"Care Bolognesi, Cari Bolognesi,
sono passati 68 anni da una fase storica straordinaria del nostro paese c...
Data:
:
Si trasmette il discorso di Simona Lembi, Presidente del Consiglio comunale, tenuto ieri in occasione delle celebrazioni del 25 Aprile.
"Care Bolognesi, Cari Bolognesi,
sono passati 68 anni da una fase storica straordinaria del nostro paese che è stata quella della Resistenza, della fine della dittatura fascista e dei primi passi mossi dalla nostra Democrazia.
Il Comitato delle onoranze ha deciso, nei prossimi tre anni, quelli che ci separano al 70esimo anniversario della Liberazione, di raccontare ciò che ha significato aderire alla Resistenza, cosa ha prodotto quella partecipazione alla lotta armata e civile, che cosa ancora oggi racconta quella storia alle nuove generazioni.
L'obiettivo delle celebrazioni è proprio questo: quello di dare spazio alla 'memoria attiva' di quel periodo, di attualizzarne il significato come base essenziale dell'identità storica del nostro territorio, onorarne la memoria, valorizzarne e diffonderne i valori storico, politico e morale, soprattutto fra le nuove generazioni.
Per queste ragioni, aprire di fatto un percorso che durerà 3 anni è per me motivo di grande emozione. Scelgo di farlo, attraverso le parole di una giovane partigiana, il suo nome di battaglia era Chicchi. Il 17 marzo del 1948, di fronte all'Assemblea Costituente disse 'Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l'avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare. Spetta a tutti noi (…) partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva, e piena questa sovranità popolare.'
Si chiamava Teresa Mattei. È stata ricordata come colei che scelse la mimosa, un fiore povero, popolare, simbolo dell'8 marzo, una ragazza che a soli 17 anni rifiutò di seguire le lezioni sulla superiorità della razza e che per questo fu espulsa da ogni scuola di ordine e grado. Ma la cosa più preziosa che ci ha lasciato in pochi l'hanno ricordata: sono due brevi parole, appena 7 lettere in tutto 'DI FATTO 'che cambiano l'art 3 e la Costituzione tutta.
'Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando 'di fatto' la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese'.
Quel 'Di Fatto' cambia tutto. Significava dire che dopo aver fatto la Resistenza e dopo aver scritto e votato la Costituzione occorreva ancora molto impegno per vederla applicata.
Nel 1955, a 10 anni dalla fine della guerra e a 8 anni dalla firma della Costituzione, 5 donne, tra cui una minorenne, (l'Angela , la Sara, la Renatina, la Franchina e l'Anna) vennero arrestate, processate e condannate ad un mese di carcere per aver diffuso, in occasione dell'8 marzo, davanti ad alcune fabbriche di Bologna, un volantino e qualche mimosa. Durante quel mese di galera, l'anziana nonna di una di loro manifestava la sua apprensione a chi le portava notizie della nipote. Aveva già perso il figlio, ammazzato dai fascisti e temeva la stessa sorte per la nipote. A chi tentava di rassicurarla dicendo che la guerra era finita come pure il fascismo, replicava 'se il fascismo non c'è più, dimmi te perché l'hanno arrestata?'
L'Italia vista in controluce nella Costituzione del '48 era un paese nuovo.
Ma se questo cammino per affermare un paese nuovo è iniziato avanti ieri, la maggior parte delle conquiste che oggi diamo per scontate sono di molto più recenti:
il primo concorso per le donne in magistratura è del 1963, come pure del '63 è l'abolizione del licenziamento per le donne maritate,
lo statuto dei lavoratori è del 1970, come pure la nascita delle Regioni il nuovo diritto di famiglia che sancisce la parità tra i coniugi e cancella ingiuste norme del codice civile del '42 e penale del '30 , è del 1975
la definizione di violenza contro le donne come reato contro la persona e non contro la morale è appena del 1996,
è solo di poche settimane fa l'abolizione di quelle ultime norme che impedivano la piena uguaglianza di tutti i bambini.
Lasciamo parlare queste date!
Quindi, quel 'di fatto' ci dice ancora oggi, quando vediamo diritti negati, che così come non è bastato fare la Resistenza per uscire dal fascismo; non è bastato scrivere la costituzione per vederla applicata.
Occorre oggi un rinnovato impegno perchè conquiste fatte non arretrino, (la scuola pubblica, la sanità pubblica), e nuovi diritti siano affermati. Mi riferisco ad esempio a quei bambini nati in Italia, figli di immigrati che solo a 18 anni possono chiedere di diventare italiani.
'La Costituzioni è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perchè si muova - affermava Calamandrei -, bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica'.
Non basta andare in piazza quindi e dire 'bravi' come durante il fascismo e non è neppure sufficiente votare e non pensarci più.
Vale qui ribadire che la Resistenza, che piaccia o no, non si ferma mai, perchè al di là delle forme che ha preso col passare del tempo, si basa sullo stesso principio: una tensione continua a volere essere donne e uomini liberi.
Liberi dal fascismo, liberi di organizzarsi, liberi di aderire ad un partito, ad un sindacato, a un movimento, liberi di muoversi da una città all'altra. Liberi di, come dice la Costituzione 'partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del paese'.
E quindi responsabili di questa partecipazione, perchè la responsabilità è possibile solo dove vi è libertà di scegliere, condizioni negate entrambe dal regime fascista; significa recuperare il senso più alto di 'politica', quello che ci ha insegnato la tradizione greca classica: politica è amministrazione della polis per il bene di tutti, determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini possono partecipare.
Ma chi è libero di fare tutte queste cose? I lavoratori, dice la nostra Costituzione.
Lo dice più volte, a partire dal suo primo articolo: l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, prosegue al quarto 'la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto', continua più avanti con 'la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore'. Potrei continuare. Mi basta piuttosto affermare che nella più grave crisi economica, politica e sociale che questo Paese sta attraversando dalla seconda guerra mondiale ad oggi, ogni dibattito, proposta, azione, deve aver ben chiari questi principi e tener conto non solo dei numeri, ma anche di chi dietro quei numeri realizza la propria dignità umana attraverso il lavoro.
In altre parole, non basta il rigore dei conti pubblici, non bastano i tagli alla spesa, occorre tenere sempre presenti le condizioni di occupazione e disoccupazione delle persone.
C'è un ultimo aspetto che vorrei toccare. Come dicevo, viviamo la più grave crisi dal dopoguerra ad oggi. Assistiamo impotenti a spostamenti di ricchezza in altre parti del mondo e alla concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno persone, col conseguente impoverimento della maggior parte degli italiani. Nessuno può sentirsi immune dagli effetti di questi mutamenti. Che cosa ci racconta la Resistenza? Che cosa ci dice ancora oggi?
La storia della Resistenza come noto non fu lineare. Pochi avrebbero scommesso nel '43 e neppure nel dicembre del '44 che i Partigiani avrebbero passato l'inverno e poi avrebbero vinto la guerra.
Eppure, nella fase più acuta della seconda guerra mondiale, nel '43 quando si dissolve l'esercito, successivamente migliaia di uomini aderiscono alla Resistenza, nel novembre dello stesso anno donne di estrazione diversa, cattoliche, comuniste e molte altre ancora, fondano i Gruppi di Difesa della Donna. Chiedevano un Paese nuovo, non sulla base di un pensiero generico, sprovveduto, come ci si poteva aspettare da chi non aveva mai agito la scena pubblica, ma sulla base di rivendicazioni molto precise: dignità nel lavoro, parità di salario, tutela della maternità, istruzione per i figli, accesso a tutte le professioni e ancora diritti sociali, civili e politici.
Sembrava impossibile. Ma ce l'anno fatta. Hanno sognato un Paese diverso. Si sono tutti battuti per un'Europa diversa: per istituzioni la cui forza avrebbe impedito di tornare in quelle condizioni che resero possibile la nascita di movimenti nazisti e fascisti. E' questo che chiediamo prioritariamente all'Europa oggi: di non tornare nelle condizioni che resero possibile la nascita e l'affermarsi del nazifascismo.
Care Bolognesi, Cari Bolognesi,
io volevo solo dire che la Resistenza non è qualcosa di statico, di fermo che possa essere ricondotto solo ad un periodo storico, il più drammatico della II guerra mondiale, quello che va dall'8 settembre del '43 al 25 aprile del '45, ma piuttosto un processo di lungo periodo e insieme un modo di intendere la propria esistenza in una società.
In questi anni è stato dato spazio a parti finora poco visibili nella storia della Resistenza che meritavano maggiore riconoscimento.
Penso al ruolo dei militari. Voglio ricordare il sacrificio dei soldati della Divisione Acqui che prima nell'Isola di Corfù, poi nell'isola di Cefalonia reagirono alla prepotenza nazifascista e lottarono e resistettero in nome della democrazia e della libertà. Così come voglio ricordare l'esempio dei Gruppi di combattimento e il contributo dei gruppi Friuli e Legnano alla liberazione di Bologna.
Permettetemi infine di ricordare, della partecipazione delle donne alla Resistenza e di avere l'onore di farlo nella città che ha l'unico monumento, a Porta Lame, di una donna in armi: il monumento al Partigiano e alla Partigiana. Furono 35000 le partigiane inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote con funzioni di supporto; 70.000 le donne organizzate nei Gruppi di Difesa, 16 le medaglie d'oro, 17 quelle d'argento, 512 le Commissarie di guerra, 689 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1.750 le donne ferite, 4.633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1.890 le deportate in Germania. Vinka Kitarovic, deceduta pochi mesi fa, a cui in questi giorni è stata dedicata a San Donato la sala del Consiglio di Quartiere ebbe a dire 'il mio coraggio è stato solo questo, vincere la paura nel momento adatto e se il Movimento Partigiano ha potuto andare avanti è perchè c'erano delle donne a fianco degli uomini, non solo come staffette, come Irma Bandiera che ha pagato con la vita il suo coraggio, ma anche quelle donne che non sono mai state combattenti, ma che erano indispensabili, che erano lì, che erano infermiere, che ti aiutavano in tutti i modi, che ti ospitavano a casa loro ed il pericolo era grandissimo.'
Protagoniste silenziose che hanno fatto molto più di quanto sia stato loro riconosciuto per emancipare la loro vita e cambiare, in meglio, il volto dell'Italia.
Riflettano bene quelli che oggi pensano che si possa ancora tenere ai margini della vita pubblica ed istituzionale le donne; che la questione femminile sia un ricordo degli anni '70 e non capiscono che se ancora oggi dobbiamo fare i conti con i femmicidi, i licenziamenti in bianco per maternità, la convinzione che sia più facile lasciare a casa una donna dal lavoro è proprio perché nei luoghi della politica e delle istituzioni le donne sono poche.
Ci si chiede spesso se abbia ancora senso festeggiare il 25 aprile. Sì, sì, 1000 volte SI'! Perché anche oggi bisogna dire che ci sono conquiste a rischio e nuovi diritti da pretendere.
Festeggiamo quindi il 25 aprile in nome degli ideali e dei valori per i quali persero la vita migliaia di uomini e di donne per trasmettere ad ogni nuova generazione quegli ideali, quei valori, quegli esempi come parte della nostra vita e quindi impegno civile di ogni giorno.
Viva il 25 aprile! viva la Resistenza!".
"Care Bolognesi, Cari Bolognesi,
sono passati 68 anni da una fase storica straordinaria del nostro paese che è stata quella della Resistenza, della fine della dittatura fascista e dei primi passi mossi dalla nostra Democrazia.
Il Comitato delle onoranze ha deciso, nei prossimi tre anni, quelli che ci separano al 70esimo anniversario della Liberazione, di raccontare ciò che ha significato aderire alla Resistenza, cosa ha prodotto quella partecipazione alla lotta armata e civile, che cosa ancora oggi racconta quella storia alle nuove generazioni.
L'obiettivo delle celebrazioni è proprio questo: quello di dare spazio alla 'memoria attiva' di quel periodo, di attualizzarne il significato come base essenziale dell'identità storica del nostro territorio, onorarne la memoria, valorizzarne e diffonderne i valori storico, politico e morale, soprattutto fra le nuove generazioni.
Per queste ragioni, aprire di fatto un percorso che durerà 3 anni è per me motivo di grande emozione. Scelgo di farlo, attraverso le parole di una giovane partigiana, il suo nome di battaglia era Chicchi. Il 17 marzo del 1948, di fronte all'Assemblea Costituente disse 'Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l'avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare. Spetta a tutti noi (…) partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva, e piena questa sovranità popolare.'
Si chiamava Teresa Mattei. È stata ricordata come colei che scelse la mimosa, un fiore povero, popolare, simbolo dell'8 marzo, una ragazza che a soli 17 anni rifiutò di seguire le lezioni sulla superiorità della razza e che per questo fu espulsa da ogni scuola di ordine e grado. Ma la cosa più preziosa che ci ha lasciato in pochi l'hanno ricordata: sono due brevi parole, appena 7 lettere in tutto 'DI FATTO 'che cambiano l'art 3 e la Costituzione tutta.
'Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando 'di fatto' la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese'.
Quel 'Di Fatto' cambia tutto. Significava dire che dopo aver fatto la Resistenza e dopo aver scritto e votato la Costituzione occorreva ancora molto impegno per vederla applicata.
Nel 1955, a 10 anni dalla fine della guerra e a 8 anni dalla firma della Costituzione, 5 donne, tra cui una minorenne, (l'Angela , la Sara, la Renatina, la Franchina e l'Anna) vennero arrestate, processate e condannate ad un mese di carcere per aver diffuso, in occasione dell'8 marzo, davanti ad alcune fabbriche di Bologna, un volantino e qualche mimosa. Durante quel mese di galera, l'anziana nonna di una di loro manifestava la sua apprensione a chi le portava notizie della nipote. Aveva già perso il figlio, ammazzato dai fascisti e temeva la stessa sorte per la nipote. A chi tentava di rassicurarla dicendo che la guerra era finita come pure il fascismo, replicava 'se il fascismo non c'è più, dimmi te perché l'hanno arrestata?'
L'Italia vista in controluce nella Costituzione del '48 era un paese nuovo.
Ma se questo cammino per affermare un paese nuovo è iniziato avanti ieri, la maggior parte delle conquiste che oggi diamo per scontate sono di molto più recenti:
il primo concorso per le donne in magistratura è del 1963, come pure del '63 è l'abolizione del licenziamento per le donne maritate,
lo statuto dei lavoratori è del 1970, come pure la nascita delle Regioni il nuovo diritto di famiglia che sancisce la parità tra i coniugi e cancella ingiuste norme del codice civile del '42 e penale del '30 , è del 1975
la definizione di violenza contro le donne come reato contro la persona e non contro la morale è appena del 1996,
è solo di poche settimane fa l'abolizione di quelle ultime norme che impedivano la piena uguaglianza di tutti i bambini.
Lasciamo parlare queste date!
Quindi, quel 'di fatto' ci dice ancora oggi, quando vediamo diritti negati, che così come non è bastato fare la Resistenza per uscire dal fascismo; non è bastato scrivere la costituzione per vederla applicata.
Occorre oggi un rinnovato impegno perchè conquiste fatte non arretrino, (la scuola pubblica, la sanità pubblica), e nuovi diritti siano affermati. Mi riferisco ad esempio a quei bambini nati in Italia, figli di immigrati che solo a 18 anni possono chiedere di diventare italiani.
'La Costituzioni è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perchè si muova - affermava Calamandrei -, bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l'indifferenza alla politica'.
Non basta andare in piazza quindi e dire 'bravi' come durante il fascismo e non è neppure sufficiente votare e non pensarci più.
Vale qui ribadire che la Resistenza, che piaccia o no, non si ferma mai, perchè al di là delle forme che ha preso col passare del tempo, si basa sullo stesso principio: una tensione continua a volere essere donne e uomini liberi.
Liberi dal fascismo, liberi di organizzarsi, liberi di aderire ad un partito, ad un sindacato, a un movimento, liberi di muoversi da una città all'altra. Liberi di, come dice la Costituzione 'partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del paese'.
E quindi responsabili di questa partecipazione, perchè la responsabilità è possibile solo dove vi è libertà di scegliere, condizioni negate entrambe dal regime fascista; significa recuperare il senso più alto di 'politica', quello che ci ha insegnato la tradizione greca classica: politica è amministrazione della polis per il bene di tutti, determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini possono partecipare.
Ma chi è libero di fare tutte queste cose? I lavoratori, dice la nostra Costituzione.
Lo dice più volte, a partire dal suo primo articolo: l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, prosegue al quarto 'la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto', continua più avanti con 'la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore'. Potrei continuare. Mi basta piuttosto affermare che nella più grave crisi economica, politica e sociale che questo Paese sta attraversando dalla seconda guerra mondiale ad oggi, ogni dibattito, proposta, azione, deve aver ben chiari questi principi e tener conto non solo dei numeri, ma anche di chi dietro quei numeri realizza la propria dignità umana attraverso il lavoro.
In altre parole, non basta il rigore dei conti pubblici, non bastano i tagli alla spesa, occorre tenere sempre presenti le condizioni di occupazione e disoccupazione delle persone.
C'è un ultimo aspetto che vorrei toccare. Come dicevo, viviamo la più grave crisi dal dopoguerra ad oggi. Assistiamo impotenti a spostamenti di ricchezza in altre parti del mondo e alla concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno persone, col conseguente impoverimento della maggior parte degli italiani. Nessuno può sentirsi immune dagli effetti di questi mutamenti. Che cosa ci racconta la Resistenza? Che cosa ci dice ancora oggi?
La storia della Resistenza come noto non fu lineare. Pochi avrebbero scommesso nel '43 e neppure nel dicembre del '44 che i Partigiani avrebbero passato l'inverno e poi avrebbero vinto la guerra.
Eppure, nella fase più acuta della seconda guerra mondiale, nel '43 quando si dissolve l'esercito, successivamente migliaia di uomini aderiscono alla Resistenza, nel novembre dello stesso anno donne di estrazione diversa, cattoliche, comuniste e molte altre ancora, fondano i Gruppi di Difesa della Donna. Chiedevano un Paese nuovo, non sulla base di un pensiero generico, sprovveduto, come ci si poteva aspettare da chi non aveva mai agito la scena pubblica, ma sulla base di rivendicazioni molto precise: dignità nel lavoro, parità di salario, tutela della maternità, istruzione per i figli, accesso a tutte le professioni e ancora diritti sociali, civili e politici.
Sembrava impossibile. Ma ce l'anno fatta. Hanno sognato un Paese diverso. Si sono tutti battuti per un'Europa diversa: per istituzioni la cui forza avrebbe impedito di tornare in quelle condizioni che resero possibile la nascita di movimenti nazisti e fascisti. E' questo che chiediamo prioritariamente all'Europa oggi: di non tornare nelle condizioni che resero possibile la nascita e l'affermarsi del nazifascismo.
Care Bolognesi, Cari Bolognesi,
io volevo solo dire che la Resistenza non è qualcosa di statico, di fermo che possa essere ricondotto solo ad un periodo storico, il più drammatico della II guerra mondiale, quello che va dall'8 settembre del '43 al 25 aprile del '45, ma piuttosto un processo di lungo periodo e insieme un modo di intendere la propria esistenza in una società.
In questi anni è stato dato spazio a parti finora poco visibili nella storia della Resistenza che meritavano maggiore riconoscimento.
Penso al ruolo dei militari. Voglio ricordare il sacrificio dei soldati della Divisione Acqui che prima nell'Isola di Corfù, poi nell'isola di Cefalonia reagirono alla prepotenza nazifascista e lottarono e resistettero in nome della democrazia e della libertà. Così come voglio ricordare l'esempio dei Gruppi di combattimento e il contributo dei gruppi Friuli e Legnano alla liberazione di Bologna.
Permettetemi infine di ricordare, della partecipazione delle donne alla Resistenza e di avere l'onore di farlo nella città che ha l'unico monumento, a Porta Lame, di una donna in armi: il monumento al Partigiano e alla Partigiana. Furono 35000 le partigiane inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote con funzioni di supporto; 70.000 le donne organizzate nei Gruppi di Difesa, 16 le medaglie d'oro, 17 quelle d'argento, 512 le Commissarie di guerra, 689 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1.750 le donne ferite, 4.633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1.890 le deportate in Germania. Vinka Kitarovic, deceduta pochi mesi fa, a cui in questi giorni è stata dedicata a San Donato la sala del Consiglio di Quartiere ebbe a dire 'il mio coraggio è stato solo questo, vincere la paura nel momento adatto e se il Movimento Partigiano ha potuto andare avanti è perchè c'erano delle donne a fianco degli uomini, non solo come staffette, come Irma Bandiera che ha pagato con la vita il suo coraggio, ma anche quelle donne che non sono mai state combattenti, ma che erano indispensabili, che erano lì, che erano infermiere, che ti aiutavano in tutti i modi, che ti ospitavano a casa loro ed il pericolo era grandissimo.'
Protagoniste silenziose che hanno fatto molto più di quanto sia stato loro riconosciuto per emancipare la loro vita e cambiare, in meglio, il volto dell'Italia.
Riflettano bene quelli che oggi pensano che si possa ancora tenere ai margini della vita pubblica ed istituzionale le donne; che la questione femminile sia un ricordo degli anni '70 e non capiscono che se ancora oggi dobbiamo fare i conti con i femmicidi, i licenziamenti in bianco per maternità, la convinzione che sia più facile lasciare a casa una donna dal lavoro è proprio perché nei luoghi della politica e delle istituzioni le donne sono poche.
Ci si chiede spesso se abbia ancora senso festeggiare il 25 aprile. Sì, sì, 1000 volte SI'! Perché anche oggi bisogna dire che ci sono conquiste a rischio e nuovi diritti da pretendere.
Festeggiamo quindi il 25 aprile in nome degli ideali e dei valori per i quali persero la vita migliaia di uomini e di donne per trasmettere ad ogni nuova generazione quegli ideali, quei valori, quegli esempi come parte della nostra vita e quindi impegno civile di ogni giorno.
Viva il 25 aprile! viva la Resistenza!".