Comunicati stampa

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2 agosto 2016, l'intervento del Presidente dell'Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi

L'intervento del Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi tenuto in Piazza Medaglie d'Oro, in occasione della commemorazione del XXXVI anniversario della strage alla stazione de...

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L'intervento del Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi tenuto in Piazza Medaglie d'Oro, in occasione della commemorazione del XXXVI anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

" 'Una tragica fatalità frutto di un incidente'.
Così, in una delle sue ultime interviste, il depistatore Licio Gelli ha definito la strage del 2 agosto 1980.
85 morti e 200 feriti, causati da un mozzicone di sigaro capitato per caso su 23 kg di tritolo di tipo civile e militare.
Un tentativo finale di depistare la verità che il capo della Loggia P2, un' "organizzazione criminale" "ed eversiva", come la definì l'On.Tina Anselmi, ha iniziato a compiere fin dal 1980 e, per il quale fu condannato definitivamente.
Un ultimo depistaggio all'insegna dell'arroganza di quel potere occulto che sequestrò la vita democratica italiana di cui Gelli, in proprio o su commissione atlantica o in entrambi i casi, è stato il conduttore e protettore, utilizzando la Loggia segreta P2 come "struttura trasversale", per tutelare l'operatività della strategia della tensione, attraverso l'infiltrazione e il controllo dei vertici politici, militari e dei Servizi Segreti.
Apparati piduisti che ben sapevano che la strage di Bologna non era stata "frutto di un incidente", ma causata da 23 chili di tritolo, preparati da mani esperte e che esplosero attraverso un innesco azionato volontariamente.
E lo sapevano perché, la strage l'avevano già pianificata e si erano attivati, da subito, per depistare le indagini e coprire gli esecutori neofascisti: Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini.
Ed è ciò che fecero, su ordine di Gelli, i militari piduisti generale Musumeci, il colonnello Belmonte, entrambi appartenenti al SISMI, l'allora servizio segreto militare, e il faccendiere Pazienza, consulente dello stesso servizio segreto: tutti condannati definitivamente per aver depistato le indagini sulla più grave strage del dopoguerra.

Una verità storica e giudiziaria accertata e dimostrata da anni di indagini, processi e sentenze passate in giudicato che ha inchiodato alle loro responsabilità esecutori materiali e depistatori.
Di questa verità ancora non se ne fanno una ragione vecchi e nuovi depistatori mediatici e giudiziari, anche quelli ad orologeria che scattano regolarmente ogni anno, in prossimità del 2 agosto, i figliocci di quegli apparati che sulle stragi hanno continuato a costruire le proprie carriere (ed altri tentano di farlo adesso).
Perché nella triste e drammatica contabilità delle stragi senza colpevoli, avrebbero voluto leggere anche quella del 2 agosto 1980 e non ci sono riusciti, perché la nostra Associazione, la città di Bologna e tutta la società civile, che ci ha sempre sostenuto, non l'ha permesso, smascherando con determinazione, coraggio e quella convinzione che si ha quando si crede nel valore inestimabile della democrazia, la loro impunità.
Al banco degli imputati non si sono seduti i mandanti.
Un tassello fondamentale di verità che la nostra Associazione non ha mai smesso di cercare ricostruendo, con un paziente lavoro di incrocio di dati contenuti nelle migliaia di atti giudiziari, di processi per eversione, mafia e loschi affari finanziari, una visione globale di ciò che avvenne, utile ad identificare, dopo attenta analisi, nomi e responsabilità.
Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:

Il Paese deve sapere chi tramite Licio Gelli fu tanto determinato contro la democrazia da finanziare una strage di 85 morti e 200 feriti

Perché è questo ciò che abbiamo scoperto.
A 96 anni e nella tranquillità della sua casa, Licio Gelli è morto, ma i suoi segreti non se li è portati nella tomba, almeno per quanto riguarda il suo ruolo anche di possibile mandante della strage di Bologna: questa è una conclusione alla quale, come familiari delle vittime, siamo arrivati dopo un lungo lavoro di analisi, raccolto in un dossier che abbiamo consegnato alla Procura di Bologna nel 2012, con ulteriori aggiornamenti negli anni successivi. Noi non ragioniamo sulla base di sospetti preconcetti, ma arriviamo alle nostre conclusioni dopo aver scrupolosamente analizzato fatti e documenti. Abbiamo sottoposto tutto all’autorità giudiziaria per le doverose verifiche.
Ad oggi, però, ancora non sappiamo se questa ipotesi sia stata approfondita dalla magistratura, come chiediamo da anni.
Se la Procura avesse dedicato ai documenti che abbiamo presentato, almeno un decimo delle energie e del tempo che ha investito sull’archiviata fantomatica “pista palestinese”, ipotesi priva di qualsiasi supporto che ne confermi l’attendibilità, già preparata prima della strage ed utilizzata dal Servizio Segreto militare, subito dopo la strage, per depistare le indagini, forse avremmo saputo perché Gelli non ha voluto fornire alcuna spiegazione su un documento intestato “Bologna” che dimostrava il versamento prima e dopo la strage di circa 15 milioni di dollari.
Se i Servizi Segreti preposti alla difesa delle istituzioni democratiche avessero acquisito e analizzato quel documento e lo avessero messo a disposizione dei giudici bolognesi, ai quali fu tenuto ben nascosto, avremmo potuto individuare da tempo le responsabilità dei mandanti e degli ispiratori politici della strage del 2 agosto 1980.
L'aspetto sconcertante di questo Paese è che, mentre i familiari delle vittime trovano elementi utili a processare i mandanti, i presunti mandanti muoiono di vecchiaia, indisturbati.
Licio Gelli è morto, ma i suoi segreti non se li è portati nella tomba.
Alla Procura, abbiamo consegnato accurati dossier con nomi, dati, fatti ricostruiti sulla base di un'attenta e incrociata lettura dei documenti relativi alle stragi di Bologna, Brescia, Milano e al crack del Banco Ambrosiano: un materiale consistente che, se approfondito e sviluppato giudiziariamente, potrà permettere ai magistrati di identificare i mandanti. Un’azione investigativa che i familiari delle vittime attendono ancora che sia compiuta.
E’ ormai documentalmente acclarato che la strage del 2 agosto 1980 fu il frutto di perversi legami tra organizzazioni terroristiche e criminali e settori importanti del potere e degli apparati istituzionali.
Se, dopo 36 anni, ancora manca la volontà di arrivare ad accertare le responsabilità dei mandanti di quel terribile massacro è perché lo Stato e le istituzioni politiche nel loro complesso non hanno invece dimostrato con i fatti, di volere definitivamente puntare a recidere quei legami.
Sembra infatti, che l'obiettivo d'ulteriore approfondimento che ci impongono le sentenze dei giudici, sia condiviso e vissuto oggi da pochi soggetti, da pochi magistrati e investigatori, nel disinteresse delle istituzioni.
Ed è sconcertante il pressoché totale silenzio e l’assenza di analisi da parte di tanti giornalisti ed analisti del settore, sui recenti risultati del processo a carico del capo di Ordine Nuovo condannato nel luglio 2015 all’ergastolo per la strage di Piazza della Loggia e sui nuovi elementi relativi al delitto di Piersanti Mattarella. Elementi importanti per arrivare alla verità sistematicamente sottratti alla valutazione dei magistrati dei vari processi che, se tempestivamente trasmessi, avrebbero potuto consentire di individuare colpevoli e mandanti e smascherare i reali obiettivi perseguiti dal terrorismo in Italia.
Continua il diffuso e generalizzato depistaggio rivolto alla sostanziale rimozione della verità su un pezzo importante di storia della nostra democrazia e sulla commistione tra eversione, terrorismo e sviluppo del fenomeno mafioso. Per cui sembra legittimo porsi anche l’interrogativo se non sia stato proprio questo il vero oggetto della cosiddetta trattativa stato-mafia.
Da tempo, le mafie 2.0 seminano più tossine nell'economia che cadaveri nelle strade; si alleano con le “devianze” dell'apparato dello Stato, inquinano il tessuto imprenditoriale e i ceti professionali di intere aree di territorio; controllano e dirigono, secondo un disegno unitario, molteplici business criminali sempre più interdipendenti; creano situazioni di opacità, promuovendo un'opera di delegittimazione di quanti tentino di ostacolarle e attirando nella loro orbita allo stesso tempo esponenti del sistema politico, economico ed amministrativo.
Lo schema è sempre lo stesso di quella struttura illegale nata negli anni '70 e mai sconfitta, nota come “Banda della Magliana”, una struttura che non può essere semplicemente definita criminale, pena la sottovalutazione della sua funzione di cerniera con settori dell'eversione armata, dei Servizi Segreti, della massoneria, della mafia e della politica.
Molti dei nomi che ogni anno ripetiamo da questo palco, da Fioravanti a Carminati, da Mokbel a Licio Gelli, sono nomi di personaggi appartenenti o vicini alla Banda della Magliana, nomi coinvolti direttamente o indirettamente in tutti i maggiori scandali dell'Italia repubblicana, nomi che fanno parte della storia criminale di questo Paese, che ancora oggi ne scrivono pagine di cronaca.
La ricerca della verità è stata, ed è la battaglia più difficile da condurre in questo Paese, perché contrastata da vecchi e nuovi apparati che continuano ad agire a difesa di patti e ricatti occulti, passati e presenti, di cui forse troveremo traccia nei documenti rimasti chiusi negli archivi di Ministeri e Servizi Segreti, che hanno fatto di tutto per boicottare la direttiva del Presidente del Consiglio Renzi, del 2014, che li ha obbligati a versare all’Archivio di Stato i documenti sulle stragi dal 1969 al 1984.
Abbiamo apprezzato l’iniziativa politica, ma per due anni abbiamo denunciato che è stato un provvedimento che gli apparati dei vari Ministeri hanno voluto minare versando materiale scarso, a volte irrisorio, o non consegnando i fascicoli informativi su chi, quelle stragi, le ha commesse.
I Servizi Segreti hanno fornito i documenti con una digitalizzazione che rende impossibile fare una ricerca all’interno dell’atto; il Ministero dell'Interno non ha digitalizzato i fascicoli che man mano deposita all'Archivio di Stato, preseleziona arbitrariamente i documenti da versare e addirittura, contravvenendo alla legge, ritiene di dover distruggere parte degli archivi facendo così sparire informazioni utili, e dopo oltre due anni dalla Direttiva, non ha ancora versato importanti e specifici archivi, come quello degli affari riservati, accampando allucinanti e banali scuse che vogliono solo guadagnare tempo. Altri Ministeri versano in modo parziale e caotico, o non versano nulla.
Omettere di versare informazioni così importanti per arrivare alla completa verità sulle stragi, non solo è un insulto alle vittime, ma anche un nuovo depistaggio che punta ad un unico obiettivo: svalutare la direttiva, svuotare il principio di trasparenza sull’attività di chi ha governato questo Paese. Ostacolare la ricerca delle tracce delle connivenze istituzionali che, per tanti anni, hanno consentito ad alcune ben individuate componenti conservatrici il condizionamento della politica del Paese.
Una rete di protezione e copertura data dagli apparati ai mandanti e agli ispiratori politici delle stragi.
Una sorta di “deposito deviato” dei documenti sulle stragi che per due anni abbiamo contestato al Governo e alle stesse amministrazioni, chiedendo che la Direttiva fosse applicata da tutti gli enti in modo uniforme, reale e vigilato.
Dopo numerose riunioni, svolte alla Presidenza del Consiglio con le Associazioni dei familiari delle vittime, funzionari di Ministeri e Servizi, sembra si sia compresa l’importanza della trasparenza che chiedevamo. Il Governo si è detto disponibile a far entrare consulenti delle Associazioni per controllare la correttezza di quei depositi ed è disponibile uno stanziamento di fondi a favore dell'Archivio di Stato affinchè digitalizzi i documenti versati, in modo che possano essere accessibili a chiunque e in ogni città dove è stata compiuta una strage.
Vigileremo perché questa dichiarazione d'intenti, che abbiamo accolto positivamente, si trasformi in azioni concrete e a breve termine, perché con le sole parole non si arriva alla verità.
Non ci stancheremo mai di dire che la memoria è una parola vuota, senza politiche serie di trasparenza; soprattutto nei confronti degli archivi e della loro tutela, perché sono la fonte della conoscenza della nostra storia, spesso intrecciata da fili comuni: gli archivi di Stato, ai quali vanno destinate le risorse necessarie; gli archivi dei tribunali; i tanti archivi privati che si sono assunti un ruolo di supplenza istituzionale e che non possono e non devono essere lasciati soli, perché la nostra storia recente è costellata da tanti crimini spesso attraversati da fili comuni˖ E per arrivare alla verità, l’accesso alle informazioni non deve essere più gestito come un feudo della “zona grigia” del potere, ma deve diventare patrimonio collettivo di conoscenza, che noi tutti dobbiamo impegnarci a costruire. Per questo crediamo sia giunto il momento anche di avere obiettivi complessivi comuni, evitando di percorrere separatamente identici percorsi e progetti, e concentrando le risorse in modo intelligente. La documentazione digitale e non, per essere letta nel suo insieme e per non essere abusata deve confluire in un unico strumento di ricerca: il portale della Rete degli archivi per non dimenticare.
“Il male” - scriveva Hannah Arendt - “cresce in superficie come un fungo e sfida il pensiero, che invece cerca la profondità delle radici”. Ed è proprio alle profondità delle radici della nostra società e comunità che la nostra Associazione, da 35 anni, si propone di lavorare e agisce, cercando di piantare e curare, anche e soprattutto nel terreno fertile delle nuove generazioni, il germe positivo della consapevolezza e della conoscenza. Proseguono infatti i nostri numerosi progetti di divulgazione e di testimonianza, rivolti a parti sempre più ampie di popolazione scolastica, giovanile ed adulta, poiché crediamo che questa sia la strategia più indicata per la conservazione e la trasmissione della memoria. Gettare ponti fra le generazioni e costruire, assieme a tutti, percorsi di cittadinanza attiva, è il nostro scopo, è quello che ci porta ad incontrare i ragazzi partendo proprio da qui, da questo luogo di memoria attraverso il quale si può entrare nella storia. Grazie alla collaborazione con l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna e con scuole ed insegnanti, 2600 sono stati i ragazzi che quest’anno, classe per classe, hanno lavorato con noi, testimoni e storici assieme.
Il 2 agosto del 2013, qui, il Governo assicurò che entro il mese di settembre dello stesso anno, la mancata completa attuazione della legge 206/2004 per i risarcimenti alle vittime si sarebbe risolta. Oggi, 3 anni dopo, dobbiamo dire che quella promessa non è stata mantenuta e alcuni problemi sono stati risolti solo parzialmente.
Nonostante quanto garantito dalla legge, le vittime e i loro familiari continuano a subire ritardi insostenibili, perfino di anni, nella gestione delle loro pratiche da parte dell’Inps e degli altri Ministeri preposti.
Recentemente il Governo ha rinnovato l’impegno di risolvere tutte le misure applicative della legge 206 definendo, in brevissimo tempo, tutto ciò che può essere risolto in via amministrativa ed entro il 31 dicembre, all’interno della legge di stabilità, tutto ciò che necessita di una norma di legge. Il fatto nuovo è che i vari ministeri interessati hanno approvato e condiviso questa indicazione mettendosi a disposizione per risolvere tutti i problemi esistenti.
Prendiamo atto di questa apertura, dopo ben tre anni di incontri e di discussioni, molte volte assurde, e vigileremo affinché tutto sia fatto e fatto bene. Non vorremmo che l’effetto anniversario svanisca il 3 agosto, come è già successo negli anni scorsi.
Chiediamo a tutti una vigilanza che impedisca altre perdite di tempo e che gli impegni presi, questa volta, siano mantenuti.
Fino ad oggi, l’intenzione degli apparati dell’INPS e dei vari ministeri è stata chiara: creare sconcerto e sconforto nelle vittime, sperando, invano, in una loro rinuncia. Se ne facciano una ragione, non molleremo mai. Non rinunceremo mai a lottare contro l’ingiusta e vergognosa mancanza di rispetto con cui lo Stato ha trattato i feriti ed i familiari delle vittime del terrorismo.
Quello stesso Stato, però, ha trattato con i guanti di velluto gli esecutori materiali della strage alla stazione centrale di Bologna, concedendo loro benefici immeritati e non impegnandosi minimamente nell'esigere il risarcimento dei danni causati da costoro.
No, noi non ci arrendiamo, come dimostra la nostra storia, la nostra lunga battaglia per la verità che il 5 luglio scorso, ci ha portato ad un grande risultato storico: finalmente, è stata approvata la legge che introduce il reato penale di depistaggio.
E’ una vittoria della democrazia, raggiunta dopo un lungo percorso che la nostra Associazione, la città di Bologna e tutti voi, abbiamo iniziato tanti anni fa. Era il 2 agosto 1993, quando, in questa piazza, un uomo si impegnò nella ricerca della verità con straordinaria tenacia. Quel giorno Torquato Secci - con il quale, il 1° giugno 1981, ho fondato l’Associazione tra i familiari delle vittime e che nell’eccidio perse un figlio di 24 anni, Sergio- chiese l’approvazione di una legge che introducesse il reato di depistaggio.
Sono trascorsi 23 anni per raggiungere questo obiettivo e ci siamo arrivati, lottando con determinazione, anche quando la classe politica non ci ha ascoltato o ha dimostrato indifferenza verso la nostra Storia, verso i familiari delle vittime, verso i feriti, verso una città come Bologna e una società civile che ci ha sempre sostenuto ed ha saputo scegliere, con determinazione e coraggio, da che parte stare: dalla parte della Verità.
In questi decenni, come familiari delle vittime, abbiamo lottato contro un comportamento criminale che in Italia, fino all’approvazione di questa legge, non si è voluto perseguire e sanzionare con uno specifico reato del codice penale, ma con condotte minori, senza riconoscere la gravità del danno che i depistaggi hanno causato, affossando, in molti casi, inchieste e processi o privandoli di una completa verità giudiziaria.
Da oggi, l’impunità è finita, perché questa legge assegna alla magistratura strumenti e pene adeguate ed un depistatore rischia molti anni di carcere. Un provvedimento che attendevamo da quel lontano 1993.
Il percorso della nostra proposta di legge è stato difficile e tortuoso: presentata il 27 marzo 2013, ci sono voluti più di 3 anni per approvarla in via definitiva.
In questa occasione, vogliamo ricordare il magistrato Mario Amato, sostituto procuratore di Roma, ucciso il 23 giugno 1980 dai Nar Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini. La sua inchiesta è stata alla base dell’istruttoria del processo penale relativo alla strage di Bologna. Negli anni violenti del terrorismo, le sue azioni di magistrato sono state improntate al senso civico, alla correttezza e al coraggio di perseguire esecutori e mandanti.
Nel nostro cammino, nel lungo percorso che ci ha portato a questo risultato, abbiamo conosciuto anche persone mosse dai nostri stessi ideali, determinate ad opporsi ad una cultura fondata sul privilegio, sulla sopraffazione, sull’impunità, a difesa della verità e della giustizia.
Vogliamo ricordare, dedicandogli un ringraziamento particolare, uno degli amici che ha sostenuto la nostra battaglia: l’On. Renato Zangheri, sindaco della nostra città negli anni in cui, con le stragi del treno Italicus e del 2 agosto 1980, i centri eversivi ferirono Bologna, ma non la piegarono!
Diciamo grazie anche al suo impegno, al suo credere fermamente nella capacità di resistere del popolo italiano e di avere partita vinta sugli attacchi all’umanità e alla libertà che la violenza del terrorismo neofascista aveva sferrato.
L’approvazione definitiva di questa legge è una delle partite vinte dalla democrazia che, come presidente dell’Associazione 2 agosto 1980, desidero dedicare a tutte le vittime di stragi e terrorismo, ai loro familiari, ad ognuno di voi che ci avete sempre sostenuto e agli eroi silenziosi della nostra storia che, come voi in questa piazza, hanno scelto sempre e con coraggio di stare dalla parte della verità.
Grazie!"

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Ultimo aggiornamento

14/03/2025, 12:34
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